Lucio cottini didattica speciale e inclusione scolastica

Carocci, 2017 - Education - 435 pages

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Porre l'inclusione al centro delle politiche e delle prassi educative significa concentrare l'attenzione sulle esigenze diversificate di tutti gli allievi, nessuno escluso, nel rispetto del principio di pari opportunità e di partecipazione attiva di ognuno. La prospettiva dell'inclusione scolastica è sviluppata nel volume su quattro piani fra loro integrati: il piano dei principi, che tende a sottolineare come ogni individuo, indipendentemente dai tratti culturali o personali, sia un'entità costitutiva dell'istituzione sociale, che trova nella piena valorizzazione di rutti la sua stessa ragione d'essere; il piano organizzativo, inteso come interazione e coordinamento fra i diversi attori che entrano in gioco, sia interni che esterni alla scuola; il piano metodologico-didattico, che si riferisce alle procedure da mettere in campo per promuovere il successo formativo e il ruolo attivo di ogni allievo; e infine il piano dell'evidenza empirica, che fissa l'attenzione sulle ricerche che hanno affrontato il tema dell'educazione inclusiva, al fine di giustificarne l'applicazione generalizzata. Nei capitoli viene enfatizzata la dimensione operativa, associando alla trattazione teorica di ogni argomento delle proposte curricolari riferite a diverse situazioni e ambiti disciplinari.

Scarica Didattica speciale e inclusione scolastica - Cottini e più Prove d'esame in PDF di Pedagogia solo su Docsity! 1 DIDATTICA SPECIALE E INCLUSIONE SCOLASTICA – Lucio Cottini Introduzione Inclusive education: modello teorico nato negli anni ’90 con lo scopo di rispondere alle diversità dei bisogni dei singoli studenti, promuovere un sistema educativo capace di intercettare le differenze e specificità di ognuno. Modello promosso e supportato dall’UNESCO (Conferenza di Salamanca, 1994, Carta di Lussemburgo, 1996, Convenzione sui diritti delle persone disabili, 2006). Non si tratta di indirizzarsi ad un allievo medio per poi aggiungere percorsi personalizzati, ma concepire una progettualità fin dall’inizio rivolta a tutti, tenendo conto delle differenze e orientandosi a promuovere per ciascuno le migliori opportunità di crescita personale —> rendere inclusivi i contesti, i metodi, gli atteggiamenti. Cottini individua 4 piani, integrati tra loro, che descrivono e orientano la riflessione sulla dimensione inclusiva (4 parti del libro): • Piano dell’affermazione dei principi di riferimento • Piano dell’organizzazione del contesto e delle procedure ai fini inclusivi • Piano metodologico-didattico • Piano dell’evidenza empirica (verifica della significatività operativa delle metodologie). Capitolo 1 – L’evoluzione del quadro normativo a supporto dell’inclusione 1Excursus storico della normativa scolastica dalla separazione all’integrazione • Anni ’60: l’approccio alla disabilità era prevalentemente medico, e si riteneva che l’alunno con disabilità potesse essere aiutato in maniera più incisiva se inserito in gruppi di bambini con deficit simili. Classi differenziali nella scuola media unica (legge n. 1859 del 1962) e sezioni speciali o scuole materne speciali per i casi più gravi per i bambini dai 3 ai 6 anni (legge n. 444 del 1968) —> istruzione separata • Anni ’70: crisi delle istituzioni separate. Legge n. 118 del 1971 riconosce agli allievi in situazione di disabilità il diritto all’istruzione in classe comune, escludendo però i soggetti più gravi; intorno al 1975 gli specialisti hanno iniziato a rifiutarsi di attestare la gravità della disabilità. 1974: viene costituita la Commissione Falcucci (era una senatrice) per studiare l’inserimento dei bambini con disabilita nella scuola comune; nel 1975 la commissione elabora un documento in cui viene ribadito che il superamento dell’emarginazione passa da un nuovo modo di concepire e attuare la scuola e che l’inserimento nelle scuole comuni di bambini con disabilità non implica il raggiungimento di mete culturali minime comuni. 1977: con la legge 517/1977 vengono abolite le classi differenziali e le scuole speciali —> questo favorisce il passaggio da inserimento a integrazione. La legge prevedeva la programmazione di attività per gruppi e interventi individualizzati e la presenza di insegnanti specializzati. Negli anni successivi sono state emanate altre leggi e circolari ministeriali per l’interpretazione della legge 517/1977 (vedi pag. 32) • Anni ’80: legge n.215 del 1987 garantisce la frequenza della scuola media superiore a tutti i disabili. • 1992: legge quadro 104/1992 per l’assistenza, l’integrazione e i diritti delle persone con disabilità. Ha lo scopo di raccogliere organicamente le disposizioni precedenti e riempire vuoti legislativi. 2 Negli articoli 12-17 si parla di integrazione scolastica, ponendo in primo piano non solo i bisogni particolari della persona con disabilità ma anche i suoi desideri, le sue risorse e le sue potenzialità nell’ambito dell’apprendimento, della comunicazione e delle relazioni. Grande rilevanza del confronto di tutte le istituzioni e in particolare coinvolgimento sempre più attivo della famiglia nella formulazione del Profilo dinamico-funzionale (PDF) e del Piano educativo individualizzato (PEI). Il D.P.R. (Decreto del Presidente della Repubblica) del 24/02/1994 stabilisce che le unità sanitarie locali hanno il compito dell’individuazione della disabilità, che deve essere corredata dalla diagnosi funzionale (DF), che insieme al PDF costituisce la documentazione fondamentale richiesta dall’amministrazione scolastica. La DF viene definita “descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psicofisico dell’alunno in situazione di disabilità; non si limita ad accertare il tipo e la gravità del deficit di cui è portatore l’alunno, ma ne pone in evidenza le aree di potenzialità dal punto di vista funzionale”. Il PDF fissa le linee di sviluppo potenziale del bambino a medio e breve termine e consente di individuare obiettivi, attività e modalità del progetto di integrazione scolastica che trova la sua definizione nel PEI. Nel 2017 il decreto legislativo n. 66 prevede che dopo l’accertamento della condizione di disabilità venga redatto un Profilo di funzionamento secondo i criteri del modello bio-psico-sociale, che ricomprende DF e PDF e è predisposto dall’unità di valutazione multidisciplinare con la collaborazione della famiglia e di un rappresentante dell’amministrazione scolastica. • Legge 59/1997: le scuole acquisiscono autonomia in termini giuridici, finanziari, amministrativi, didattici, di ricerca, di sperimentazione e organizzativi. Abolizione dei programmi nazionali e maggiore responsabilità progettuale alle scuole, attraverso il POF (piano dell’offerta formativa), che comprende il curricolo didattico e questioni di organizzazione interne, gestione delle risorse relazioni con il territorio; la legge 107/2015 istituisce il PTOF. Attraverso il POF si dovrebbe esprimere la sensibilità della comunità verso l’accoglienza degli studenti con difficoltà. Le scuole autonome: promuovono percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e ala crescita educativa di tutti gli alunni; riconoscono e valorizzano la diversità; promuovono le potenzialità di ciascuno; adottano tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo; regolano i tempi di insegnamento e dello svolgimento di singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni; adottano forme di flessibilità dell’organizzazione educativa e didattica; assicurano iniziative di recupero e sostegno, continuità, orientamento. La sintesi di questo percorso di progressiva attenzione ai bisogni degli allievi può essere rintracciata nelle Linee guida sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, emanate dal ministero nel 2009, che non apportano modifiche normative ma delineano impegno per migliorare la qualità dei processi di integrazione scolastica nella prospettiva dell’inclusione, anche alla luce dell’emanazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia (enfasi sulla gestione coordinata dell’integrazione, ruolo di tutti gli attori, coinvolgimento di tutti i docenti, valutazione d rapportare al PEI e considerare come analisi dei processi e non della performance). 2. La curvatura normativa verso la prospettiva dell’inclusione Il passaggio da integrazione a inclusione non rappresenta uno stacco, ma una curvatura che amplia l’orizzonte alla considerazione della diversità come caratteristica di tutti e di ognuno e alla riflessione e individuazione di barriere e ostacoli sociali in grado di rendere difficile la partecipazione di ogni persona alla vita comunitaria. Le disposizioni internazionali • Anni ’70: emanazione in Inghilterra del rapporto Warnock —> viene introdotto il concetto di Special Educational Needs (BES). , il quale ha contribuito a orientare la 5 Il D.Lgs 66/2017 prevede inoltre delle norme per la formazione degli insegnanti specializzati per il sostegno nella scuola dell’infanzia e primaria. Capitolo 2 – Le differenze in primo piano: dal modello individuale a quello sociale e delle capacità Ogni individuo ha un modello, un’idea di diversità, delle convinzioni che ha elaborato sulla base della propria cultura di riferimento e delle esperienze di vita; questo determina una modalità diversa di rapportarsi con la diversità. Modello individuale Anche definito “medico”, tende a vedere la disabilità come un problema dell’individuo causato da una condizione patologica e richiede un intervento clinico, riabilitativo ed educativo da parte i professionisti.Era associato alla Classificazione internazionale di menomazione, disabilità e handicap dell’OMS (ICIDH), in cui viene fatta la distinzione tra menomazione (impairment – qualsiasi perdita o anormalità a carico di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche), disabilità (disability – limitazione o perdita, conseguente a una menomazione, delle capacità di compiere un’attività con modalità considerate normali per un essere umano), e handicap (condizione di svantaggio vissuta da una determinata persona in conseguenza di menomazione o disabilità che limita o impedisce la possibilità di ricoprire un ruolo, rappresenta la socializzazione di una menomazione o disabilità). Per un individuo la menomazione ha carattere permanente, la disabilità dipende dall’attività he egli deve svolgere e l’handicap esprime lo svantaggio che ha nei riguardi dei cosiddetti normodotati. ICIDH prevede 9 macrocategorie per le menomazioni e le disabilità e 7 per gli handicap. Nel 1997 è stata proposta una revisione del ICIDH, chiamata ICIDH-2 con lo scopo di correggere l’impostazione lineare tra i concetti di menomazione, disabilità e handicap, proponendo una dinamica più 6 complessa e introducendo il concetto di partecipazione attiva, che sarà centrale nel modello proposto dall’ICF; si è iniziato a focalizzare l’attenzione su aspetti psicosociali anche se la disabilità continua ad essere considerata come problema del singolo, cioè come una mancanza funzionale che deve essere compensata in modo da garantire all’individuo una vita il più possibile vicina a quella tipica —> rischio di confondere la persona e la sua identità con la condizione patologica. Modello sociale Prende avvio dall’attivismo politico di persone con disabilità. Attenzione sul ruolo disabilitante delle barriere sociali; tentativo di spostare l’attenzione dalle limitazioni funzionali delle persone in situazione di disabilità ai problemi causati dai contesti disabilitanti, costituiti da barriere e da culture che ostacolano alcuni individui. Disability studies: disciplina che mette in discussione in legame causale tra l’avere una menomazione e l’essere disabile, obiettivo di promuovere il cambiamento della società; le difficoltà di alcuni allievi non vengono negate, ma considerate una condizione intrinseca con cui gli insegnanti devono confrontarsi. Non ci si deve organizzare per intercettare i bisogni educativi degli allievi “normali”, ma per rispondere ai bisogni di apprendimento di ciascuno; in questa prospettiva i BES non sono “bisogni dei diversi” ma tutte quelle esigenze che rinviano a difficoltà di sviluppo e apprendimento, temporanee o permanenti, che possono manifestarsi a prescindere da una condizione di disabilità. Gli esponenti dei Disability Studies sostengono che il sistema educativo italiano sia ancora dominato da una visione individuale, testimoniata dalla centralità della diagnosi e della sua gravità, che porta alla richiesta sempre maggiore di figure specializzate in grado di occuparsi degli specifici problemi. Modello ICF (1999) Può essere considerato come anello di congiunzione tra i due precedenti. Elemento centrale è il concetto di salute, inteso come un ideale che nessun individuo sperimenta in modo completo; approccio di tipo biopsicosociale, tenta di arrivare ad una sintesi in grado di fornire una prospettiva coerente delle diverse dimensioni ella salute a livello biologico, individuale e sociale. Due tipi di fattori alla base del funzionamento di ogni individuo: • Personali: attributi caratteristici di ogni persona (funzioni e strutture corporee) • Ambientali: contesto fisico e sociale e impatto dei comportamenti di ognuno. (Modello descritto meglio nel capitolo 4) Modello delle capacità (Capability Approach) Formulato a metà degli anni ’80 dall’economista e filosofo Amartya Sen, promosso in diversi ambiti. Il concetto di riferimento è quello dello “star bene” di Sen, che non dipende tanto dai mezzi che ogni individuo ha a disposizione, quanto dalla capacità di trasformare tali disponibilità in concrete realizzazioni e risultati nella direzioe che egli intende conseguire; è l’insieme dei traguardi potenzialmente raggiungibili (spazio delle capacità o capability set) o effettivamente realizzati (spazio dei funzionamenti o functionings) che contribuisce a determinare il benessere e la qualità di vita delle persone. Secondo questo modello la persona con disabilità ha il diritto di scegliere come gestire l propria vita e sviluppare tutte le proprie potenzialità, quindi gli interventi sociali avranno lo scopo non solo di compensare lo svantaggio, ma anche di incrementare la capacità della persona di poter scegliere. Il superamento della disabilità non coincide con l’adeguamento a una normalità, ma con l’ampliamento delle possibilità di scelta dell’individuo, della sua capacità di autodeterminazione. 7 Ruolo centrale dell’individuo nella determinazione delle sue capacità rilevanti. Questo modello, se radicalizzato, espone al rischio i vaghezza operativa e eccessiva soggettivizzazione, con risultati non sempre positivi. Per ovviare a ciò, Martha Nussbaum ha cercato di delineare un elenco di capailities fondamentali, uguali per tutti gli esseri umani. Vehmas sostiene che il Capability Approach sia il miglior modello teorico al quale fare riferimento per assicurare una reale partecipazione delle persone con disabilità nella società e anche in ambio educativo, perché si tratta di una sorta di compromesso tra la risposta individualistica e l’esigenza di intervenire per accomodare i contesti e le strutture. Capitolo 3 – L’ ICF: quando la classificazione diventa un modello di guida alla didattica 1980: l’OMS pubblica ICIDH (distinzione tra menomazione, disabilità e handicap) 1997: l’OMS pubblica ICIDH-2 (dinamica più complessa e nozione di partecipazione attiva) 1999: l’OMS pubblica ICF (Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute), strumento attraverso il quale descrivere e misurare la salute e la disabilità della popolazione; non ci si riferisce più a un disturbo, strutturale o funzionale che sia, senza prima rapportarlo ad uno stato considerato di “salute”; i termini menomazione e handicap sono sostituiti da “attività” e “partecipazione sociale” – si tratta di un cambiamento sostanziale e non solo di tipo nominalistico, perché si costruisce uno schema che vede al centro l’attività, che può essere più o meno sviluppata in riferimento alle condizioni proprie dell’individuo che alle relazioni con il mondo esterno; modello di tipo biopsicosociale. 2007: lOMS pubblica ICF-CY, cioè la versione riferita a bambini e adolescenti, che utilizza un linguaggio e una terminologia comuni per documentare i problemi relativi alle funzioni e alle strutture corporee, alle limitazioni dell’attività e alle restrizioni della partecipazione che si manifestano nella prima infanzia, nell’infanzia e nell’adolescenza. ICF e ICF-CY non sono sistemi sostitutivi dei precedenti (ICD-10 decima revisione della classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali), ma devono essere utilizzati insieme in quanto complementari: l’ICF verifica la funzionalità di una struttura corporea, la cui menomazione può essere determinata da cause patologiche diverse; l’ICD-10 favorisce una diagnosi delle malattie e dei disturbi e questa conoscenza si arricchisce poi delle informazioni aggiuntive fornite dall’ICF relativamente al modo di operare del soggetto nell’ambiente. L’ICD-10 prevede la codifica di trecento sindromi e disturbi descritti in diverse sezioni, riportando una delineazione delle principali caratteristiche cliniche e alcune indicazioni diagnostiche; il soggetto viene valutato in relazione a vari assi, ognuno dei quali rappresenta raggruppamenti e classi di informazioni; viene utilizzato un sistema di codifica che dà informazioni a grandi linee sula tipologia di lavoro che il personale clinico deve effettuare per definire la diagnosi. DSM-5: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 1995, una delle modalità più conosciute ed utilizzate dagli operatori sanitari a livello internazionale per delineare la diagnosi nell’ambito dei deficit mentali. Nel DSM-5 vengono descritti all’inizio i disturbi più diagnosticati nelle prime fasi di vita (disturbi del neurosviluppo) e alla fine quelli pertinenti all’età avanzata (disturbi neurocognitivi); fra i disturbi del neurosviluppo ci sono: disabilità intellettive; disturbi della comunicazione; disturbi dello spettro dell’autismo; disturbo da deficit di attenzione/iperattività; disturbo specifico dell’apprendimento; disturbi del movimento. 10 - Comoglio: valutazione autentica Concetto su cui si basa l’ICF è quello di zona di sviluppo prossimale, il cui limite inferiore indica le capacità individuali dell’individuo e quello superiore il miglioramento che ne segue grazie all’interazione con il contesto sociale. Alla luce di ciò, appare evidente come la differenziazione fra interventi sanitari ed educativi sia da ritenersi del tutto arbitraria. I principi enunciati nell’ICF rimandano a un training articolato e integrato, nel quale tutte le azioni tendenti a ridurre gli esiti dei deficit e innalzare i livelli di qualità alla vita devono assumere, pur nella loro specificità, pari dignità e importanza. Ancora di più. Il sistema descrittivo ci impegna non solo a considerare sullo stesso livello le diverse modalità di intervento per le persone in situazione di disabilità, ma anche a non costruire steccati nei quali concentrare l’azione rivolta a singole categorie di persone. L’attenzione educativa e sanitaria rivolta agli allievi con disabilità non può più essere considerata come un riguardo privilegiato; l’ICF, al contrario propone che la differenza legata al deficit venga ricompresa nel grande capitolo della cura educativa e sanitaria verso tutte le diversità che accomuna gli individui (Pavone). Fin dal 2001, ben 191 Stati hanno dichiarato di riconoscere l’ICF come sistema internazionale per misurare e classificare la salute e la disabilità e quest’adesione ha sicuramente contribuito del modo di pensare l’ altro, in termini di parità reale tra le persone che presentano abilità e disabilità diverse. Ogni individuo è portatore di una propria originale condizione di salute che si deve cercare di elevare il più possibile, al fine di renderlo capace di migliorare, con la propria azione, il contesto sociale nel quale si trova a vivere e operare. CAPITOLO 4 – VERSO IL CURRICOLO PER L’INCLUSIONE Secondo la logica dell’inclusione bisogna costruire contesti in grado di accogliere tutti e consente a ognuno di avere le migliori opportunità per raggiungere il successo formativo. In tale prospettiva, un ruolo centrale lo riveste la programmazione dei curricoli didattici. Si possono percorrere 2 strade: 1. Costruire un programma per la classe da modificare poi per coloro che non riescono a seguirlo compiutamente. Finalità: adattare i curricoli ai bisogni speciali dei singoli allievi e quindi si ha differenziazione degli obiettivi, delle metodologie e delle valutazioni. 2. Progettare da subito i curricoli didattici per affrontare le differenze individuali. È la logica sviluppata dalla UDL (trasferire i principi della progettazione per tutti dal piano architettonico a quello dell’istruzione, attraverso un’azione centrata sui programmi di studio, i quali risultano eccessivamente rigidi). Intento del capitolo è indagare le prospettive di questa seconda strada. Progettare un curricolo flessibile fin dall’inizio offre molte più opportunità a ogni allievo di una classe di sentirsi accolto e stimolato, perché non presuppone il programma standard per tutti. Bisogna lavorare per modificare il curricolo comune, ampliandolo e differenziandolo dal punto di vista didattico, così che possa accogliere le esigenze del più alto numero di allievi possibile (Dovigo 2014, D’alonzo 2016). Il curricolo didattico Con esso ci si riferisce all’itinerario formativo indirizzato ai campi di esperienza o alle discipline, che viene considerato sia sotto il profilo dei contenuti formativi (il programma), che sotto quello della sua organizzazione didattica (la programmazione). Il riferimento normativo di fondo della prospettiva curricolare è rappresentato dalle disposizioni sull’autonomia delle istituzioni scolastiche (art. 21 della legge 59/1997) e dall’art. 8 del regolamento sull’autonomia (DPR 275/1999). 11 Rappresenta il dispositivo didattico di riferimento per una scuola che voglia essere sempre più inclusiva e capace di valorizzare le differenze, nel momento in cui persegue i suoi obiettivi di fondo che sono quelli di istruire e educare. L’orientamento UDL offre un supporto prezioso a questo fine, per promuovere un’organizzazione della didattica aperta e flessibile, capace di considerare le caratteristiche diversificate degli allievi e di perseguire per tutti il successo formativo. L’approccio UDL A metà degli anni 80 l’architetto Ronald Mace studiò la conformazione degli edifici e dei prodotti al fine di renderli accessibili a tutte le persone, comprese quelle con esigenze particolari e con specifiche situazioni di disabilità. La filosofia progettuale dell’universal design prevede 7 principi: 1. Equità: essere impiegabile da chiunque 2. Flessibilità: adattarsi in modo flessibile alle diverse abilità degli individui 3. Semplicità: uso semplice e facile 4. Percettibilità: attenzione a trasmettere le informazioni sensoriali in maniera percepibile da tutti 5. Evitamento: organizzazione in grado di minimizzare i rischi 6. Contenimento dello sforzo fisico: impiego di un livello minimo di sforzo e fatica per accedere a spazi fisici e servizi 7. Misure e spazi sufficienti: possibilità di rendere lo spazio idoneo per l’utilizzo Sulla stessa linea a livello europeo si è posto il movimento Design for all, il cui scopo è facilitare per tutti le pari opportunità di partecipazione in ogni aspetto della società. L’approccio UDL si trasferisce sul piano dell’istruzione e dell’apprendimento. I ricercatori del CAST hanno elaborato delle Linee Guida fondandole sui 3 principi fondamentali che prevedono la messa a disposizione di: • Molteplici mezzi di rappresentazione per dare agli studenti vari modi di acquisizione dell’informazione e della conoscenza. Gli allievi tendono a percepire e a comprendere in maniera diversa le info che vengono loro sottoposte, quindi bisogna prevedere delle modifiche sulle modalità di presentazione dei contenuti. • Molteplici mezzi di espressione per fornire agli studenti delle alternative per dimostrare cosa sanno. Bisognerebbe privilegiare forme di valutazione autentica, nella quale gli allievi vengano chiamati a svolgere compiti reali. • Molteplici mezzi di impegno per colpire gli interessi degli studenti. Gli allievi esprimono modalità diversificate di coinvolgimento nei compiti in relazione a quanto sono motivati. La ricerca neuroscientifica sostiene questi principi e individue 3 reti che si usano nel processo di apprendimento: di riconoscimento, strategica e affettiva. Le linee guida tendono a allineare queste 3 reti con i rispettivi principi. In sintesi, adattare i curricoli agendo sui 3 principi detti può consentire di ridurre gli ostacoli all’apprendimento di vari allievi, per soddisfare i bisogni di tutti gli studenti sin dall’inizio. L’utilizzo della tecnologia digitale è molto importante nell’adattamento dei curricoli ma non deve essere l’unico mezzo per applicare l’UDL. Proposta di un modello per l’adattamento dei curricoli didattici Sono previste 3 dimensioni che caratterizzano momenti specifici della programmazione educativa: • La modalità con la quale possono venire presentate le proposte didattiche • Le forme utilizzabili dagli allievi per manifestare le proprie competenze e acquisizioni 12 • Le procedure di elaborazione delle info e di pensiero che è opportuno vengano stimolate Le prime 2 dimensioni ricalcano aspetti centrali evidenziati dalle linee guida del CAST mentre la terza dimensione considera cosa avviene fra la presentazione degli stimoli e le risposte che gli allievi manifestano. Questo ultimo aspetto riprende la posizione espressa da Stern che parla di 3 forme di pensiero: • Analitico: scomporre, confrontare, esaminare valutare ecc. • Creativo: immaginazione, scoperta, abilità a produrre il nuovo • Pratico: leggere adeguatamente i bisogni, abilità a usare strumenti attuare progetti concreti Promuovere e sollecitare tutte le forme di pensiero può risultare di grande aiuto per la prospettiva dell’inclusione. Per chi non avesse il libro, riporto di seguito una tabella che spiega bene nel dettaglio la proposta per l’adattamento dei curricoli educativi. 15 Anche quando non è possibile creare adattamenti degli obiettivi e delle metodologie che consentano apprendimenti significativi su compiti dello stesso tipo di quelli dei compagni, è comunque utile farlo partecipare alle attività della sua classe. L’allievo percepisce che le consegne destinate all’intero gruppo classe non gli sono totalmente estranee e questo facilita sicuramente il suo sentirsi parte integrante della classe. 4. Svolgere attività personalizzate all’interno o all’esterno della classe Le attività differenziate in confronto a quelle della classe in alcune situazioni possono essere sviluppate all’interno del contesto integrato, nel momento in cui l’ambiente risulta strutturato in modo particolare. Ci si riferisce a spazi che non siano rappresentati solo da banchi e cattedra ma dove ci siano anche altri luoghi in cui svolgere attività didattiche. Ad esempio spazi per la lettura, per il pc, per i lavori manuali ecc. sono necessarie modifiche strutturali e organizzative tali da rendere il contesto accogliente per tutti, anche per l’attività individualizzata di alcuni allievi con bisogni particolari. Attività di insegnamento “uno a uno” fuori dalla classe è fondamentale che rappresentino delle esperienze limitate temporalmente e che siano programmate nell’interesse dell’alunno e della sua integrazione. Nel libro viene riportato un esempio di programmazione integrata riferita a un allievo frequentante la seconda primaria con disabilità intellettiva. Se per quanto riguarda l’area linguistico-espressiva gli obiettivi sono quasi gli stessi e vengono perseguiti con criteri di accettabilità meno stringenti, per l’area logico- matematica è necessario invece un intervento personalizzato in cui viene utilizzato materiale concreto e strategie fornite dall’insegnante per fare operare in modo produttivo l’allievo. Capitolo 6 Il profilo dei docenti per la scuola dell’inclusione e i processi di formazione La scuola inclusiva si costruisce sulla qualità del personale. L’OCSE suggerisce che migliorare la professionalità degli insegnanti produrrà un innalzamento del rendimento scolastico. Preparare docenti capaci di rispondere alla diversità delle richieste e delle esigenze didattiche ed educative avrà un impatto positivo sullo sviluppo di comunità più inclusive. Concretamente però, la situazione si complica: come definire operativamente questo concetto? Il lavoro dell’insegnante è ad ampio spettro, caratterizzato da dimensioni definite da saperi, valori e da una riflessività sul proprio operato. Come si deve definire il profilo del docente per una scuola “per tutti e per ciascuno” (Carta di Lussemburgo, Unione Europea, 1996) in grado di porre l’inclusione e il successo formativo al centro della propria progettualità? Risorsa fondamentale: insegnante specializzato per le funzioni di sostegno. In Italia, a partire dalle deleghe della legge 107/2015, è in atto una riforma proprio riguardo a queste tematiche. 1. Essere docenti inclusivi: tutti, non solo gli specializzati Numerosi contributi a livello nazionale e internazionale che richiedono un rinnovamento sostanziale dei sistemi educativi, l’insegnante è chiamato a operare in classi sempre più eterogenee, a modulare la professione in relazione a ciò che avviene dentro e fuori dall’aula. Grion (2011): in varie proposte riguardo al possibile profilo di docente, si è privilegiato un approccio tennista fondato sugli obiettivi dei percorsi di preparazione all’insegnamento (gestione della classe, 16 pianificazione delle lezioni, sviluppo e trasmissione delle conoscenze, attività di valutazione), la professionalità viene identificata come progressiva aderenza alle caratteristiche del “buon insegnante”, a volte descritto in maniera dettagliata, standardizzandolo senza lasciare spazi alle singolarità e alle diversità dei contesti e delle situazioni. Modello proposto da Perrenoud (1999): attraverso una riflessione con dirigenti e insegnanti, arriva a selezionare dieci “domini di competenze” che evidenziano l’ampio spettro dei settori di competenza necessari per un docente: • organizzare e animare le situazioni di apprendimento; • gestire la progressione dell’apprendimento; • progettare e far evolvere serie di attività per la differenziazione; • coinvolgere gli studenti nel loro apprendimento e nel loro lavoro; • lavorare in gruppo; • partecipare alla gestione della scuola; • informare e coinvolgere i genitori; • servirsi delle nuove tecnologie; • affrontare i doveri e i problemi etici della professione; • curare la propria formazione continua. Meazzini (2000): affronta il tema della valutazione degli insegnanti, un docente efficace si caratterizza per: profonda conoscenza della materia che insegna, capacità di connettere nuove conoscenze proposte con quelle precedenti e con l’esperienza degli alunni, abilità di facilitare l’acquisizione di metodi e tecniche personali di studio, competenza nel valutare in modo evidente e affidabile, saper indicare le mete da raggiungere e saper fornire informazioni sui progressi, creare un clima di collaborazione e senso di appartenenza. Questa serie di competenze sono di tipo sia professionale che personale. Si deve aggiungere a queste la capacità di essere leader emotivo, cioè capace di regolare la propria emotività e accogliere tutte le emozioni degli allievi, aiutandoli a riconoscerle e nominarle, guidando i comportamenti da esse innescati. L’insegnante deve porsi come modello positivo: tutte le emozioni che si provano sono lecite, ma non si può dire la stessa cosa per i comportamenti connessi. Stronge, Tucker e Hindman (2004): inseriscono la dimensione della riflessione sul proprio operato. Secondo loro un insegnante efficace deve possedere: • capacità di caring (interesse, vicinanza, ricettività verso gli altri); • comportamento corretto e imparziale; • atteggiamento positivo verso la professione di insegnante; • capacità interattive; • capacità di suscitare entusiasmo e motivazione; • capacità di riflettere sulla pratica di insegnamento. Attitudine ad analizzare e riflettere sulla propria attività > crescita professionale. Le competenze di ricerca e la sperimentazione sono fondamentali per ridisegnare il profilo professionale di un insegnante che dovrà individuare i percorsi didattici più efficaci, le metodologie e le strategie più utili. Il presupposto dell’agire del docente è la piena consapevolezza di quello che si fa, la sua comprensione, la possibilità di scegliere tra alternative di comportamento diverse, in modo da essere responsabili della scelta fatta. Nel profilo dell’insegnante ideale bisognerebbe far coesistere attributi personali e qualità professionali, oltre a fattori contestuali. Esigenza di considerare positivamente il valore della differenza, ma anche la difficoltà di insegnare in classe molto eterogenee > bisogna ritenere la pluralità una condizione favorevole e necessaria per educare e 17 promuovere l’intelligenza sociale, la classe come metafora della costruzione sociale della conoscenza: “insieme ce la possiamo fare”. L’inclusione è responsabilità di tutti i docenti. La Commissione Europea nel 2007 ha effettuato un analisi della condizione del docente in Europa: se l’insegnante è ispirato dai valori dell’inclusività e dal bisogno di nutrire le potenzialità di tutti può avere una profonda influenza sulla società, giocando un ruolo vitale nell’avanzamento delle potenzialità umane e nelle future generazioni. Secondo la Commissione Europea le competenze necessarie sono: • identificare le esigenze specifiche e rispondere con un’ampia gamma di strategie didattiche; • sostenere lo sviluppo dei giovani affinché diventino pienamente autonomi; • aiutare ad acquisite le competenze elencate nel Quadro comune europeo di riferimento; • lavorare in contesti multiculturali (comprendere il valore della diversità e il rispetto della differenza); • collaborare con colleghi, genitori e comunità; • acquisire, sviluppare e utilizzare competenze manageriali. Anche European Agency for Development in Special Needs Education nel 2012 propone un profilo dei docenti inclusivi (pensando che possa essere posto come fondamento di una politica coordinata di formazione degli insegnanti a livello europeo), le premesse sono: • i valori e le aree di competenza servono a tutti gli insegnanti, dato che l’inclusione è responsabilità di tutti i docenti; • i valori e le aree di competenza danno ai docenti le basi di cui hanno bisogno per lavorare con alunni che presentano una vasta gamma di esigenze didattiche e educative all’interno di una classe comune. Quindi l’inclusione è un approccio didattico valido per tutti gli studenti e non solo per determinati gruppi di alunni portatori di specifiche esigenze. I docenti devono: • valutare la diversità degli alunni, considerando la differenza come una risorsa e una ricchezza; • sostenere gli alunni, insegnanti chiamati a coltivare alte aspettative sul successo di ogni studente; • lavorare con gli altri, lavoro di gruppo come approccio essenziale per tutti i docenti; • sviluppare un aggiornamento professionale personale continuo. Formare un sistema di competenze così complesso richiede tempo, disponibilità al cambiamento e auto riflessione, comprensione personale del bisogno formativo. La formazione va considerata un percorso iniziale che NON si esaurisce con momento iniziale e accumulo di esperienza sul campo. 20 Questo pensiero si deve riflettere sulle politiche formative. Il percorso universitario di base non può fornire tutte le conoscenze e le competenze necessario per lo sviluppo professionale continuo e progressivo > la formazione deve essere vista come un processo che occupa e qualifica l’intera carriera, insieme alla formazione in servizio. Decreti legislativi 2017 che concretizzano la legge 107/2015: delineano il modello per dormire figure sempre più orientate all’inclusione. 3.1 La formazione degli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria Non vengono previste modifiche sull’organizzazione del corso di SFP. All’interno del curricolo: 31 CFU denominati “Insegnamenti per l’accoglienza di studenti disabili” (che andrebbe modificata in “Insegnamenti per la promozione dell’inclusione anche in presenza di allievi con BES”). Per l’accesso alla specializzazione per le attività di sostegno didattico sono richiesti: ulteriori 60 CFU. Il raddoppio della durata della formazione specifica sul sostegno avrà ripercussione favorevoli sulle politiche e sulle prassi inclusive se l’ampliamento del numero di CFU si connetterà con un piano formativo organico e unitario sul territorio nazionale. Rischio: che i 60 CFU per poter partecipare vengano assemblati in maniera confusa dagli insegnanti in formazione, senza derivarli da uno specifico profilo. Per acquisire questi CFU, Cottini propone laboratori operativi di almeno 80 ore ciascuno (4CFU) sui temi: • didattica inclusiva e disturbi dello spettro autistico; • didattica inclusiva e disabilità intellettiva; • didattica inclusiva e disabilità motoria; • didattica inclusiva e disabilità sensoriale (minoranza visiva); • didattica inclusiva e disabilità sensoriale (minoranza uditiva); • didattica inclusiva e disturbi evolutivi specifici; • lettura ed elaborazione del Profilo di funzionamento, del PEI e del progetto di vita; • Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per l’inclusione. Esigenza di formare un professionista, l’insegnante inclusivo e non un tecnico della disabilità. 3.2 La formazione degli insegnanti della scuola secondaria di primo e secondo grado Percorso triennale post concorso di Formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente (FIT). Primo passo: concorso nazionale. Differenziazione tra i percorsi curricolari e quelli di sostegno e i CFU necessari per accedervi: due itinerari indipendenti > formazione specifica delle fue figure + maggiore stabilità del ruolo di sostegno, ma anche difficoltà di transizione dall’uno all’altro ruolo. Si prevede che con il prossimo decreto i docenti di sostegno di ruolo possano accedere al corso di specializzazione FIT relativo alle classi previste per i loro titoli accademici senza superare altri concorsi e con forme di riconoscimento dei CFU già maturati. Analizzando gli obiettivi per il percorso FIT non si rileva un richiamo diretto e centrale ai temi dell’inclusione. 3.3 La formazione in servizio La formazione come un processo, chi sceglie di essere docente deve esserne consapevole. Legge 107/2015: la formazione in servizio deve essere obbligatoria, permanente e strutturale. Nel piano nazionale di formazione per il triennio 2016-19: nove priorità tematiche tra cui una relativa all’inclusione e alla disabilità. Le scuole, facendo riferimento a queste linee guida e sulla base delle esigenze dei docenti, devono organizzare la formazione del personale, ogni insegnante dovrà raccogliere il tutto nel proprio portfolio digitale. 21 La formazione riguarda anche il personale ATA, dato che hanno un ruolo nei processi inclusivi. Il MIUR definisce le modalità di formazione in ingresso e in servizio dei dirigenti scolastici sugli aspetti pedagogici, organizzativi e gestionali, giuridici e didattici dell’inclusione scolastica. Sarebbe opportuno: istituzionalizzare le esperienza di master finanziati dal MIUR a favore degli insegnanti (ce ne sono molti che riguardano diverse situazioni di disabilità, disturbi specifici dell’apprendimento e di educazione interculturale); prevedere un master specifico sulla didattica inclusiva in modalità blended. 3.4 Il nudo come ulteriore prospettiva D.Lgs. 13 Aprile 2017: si garantisce la qualificazione universitaria del personale che opera negli asili, tali servizi favoriscono l’inclusione attraverso interventi personalizzare e un’adeguata organizzazione di spazi e attività. I servizi edu per l’infanzia devono: • concorrere a ridurre gli svantaggi culturali, sociali e relazionali e favorire l’inclusione attraverso interventi personalizzati e adeguata organizzazione di spazi e attività; • accogliere i bambini con disabilità certificata; • rispettare e accogliere la diversità in tutte le sue forme. Perciò è prevista la laurea in Scienze dell’educazione con un percorso indirizzato in maniera specifica per questa fascia d’età. 3.5 Punti di forza, dubbi, criticità Il quadro presentato dalle nuove disposizioni sembra promettente. Nei prossimi mesi, con la decretazione di secondo livello bisognerà valutare il reale impatto sui percorsi di formazione iniziale, di accompagnamento alla professione e di formazione continua. Servizi educativi per la prima infanzia: tentativo di considerarli sempre di più come segmento iniziale del percorso educativo e non come un semplice aiuto alla famiglia. Scuola dell’infanzia e primaria: giudizio favorevole al mantenimento del corso in SFP, magari introducendo una maggiore flessibilità nella tabella degli insegnamenti, tenendo presente però l’importanza di connettersi a un piano unitario di riferimento in linea con il profilo della figura da formare. Elemento da definire: CFU aggiuntivi paralleli al percorso quinquennale, in modo da non allungarlo troppo (per specializzarsi). Scuola secondaria di primo e secondo grado: il problema più grande è la formazione su temi inclusivi degli insegnanti curricolari. La qualità inclusiva della scuola secondaria dipende molto dalle prossime disposizioni legislative. Elemento soddisfacente di questi ultimi decreti legislativi: centralità data alla formazione in servizio. Parte terza Il piano metodologico-didattico L’inclusione passa attraverso le procedure didattiche > strategie e approcci didattici. Capitolo 7 La determinazione delle potenzialità di sviluppo e la valutazione delle competenze La valutazione ha un ruolo fondamentale nella programmazione. Conduzione + monitoraggio attività + documentazione degli esiti. Gli alunni hanno bisogno di avere un feedback e i docenti hanno necessità di verificare le prestazioni. 22 Allievi con BES: delineazione delle potenzialità di sviluppo > necessità che la valutazione assuma una funzione orientativa con l’attenzione rivolta alle competenze oltre che alle abilità e alle conoscenze. 1. La determinazione dello sviluppo potenziale La rilevazione di capacità e difficoltà non è sufficiente: bisogna conoscere le prospettive di apprendimento, cioè cosa possono acquisire gli alunni in tempo abbastanza contenuti? La dimensione diacronico-procedurale della valutazione per gli alunni con disabilità deve caratterizzarsi nel progetto di vita. 1.1 Il contributo di Vygotskij alla didattica Vygotskij: le funzioni mentali superiori dell’uomo hanno un’origine spiccatamente sociale per poi interiorizzarsi. “Ogni funzione psichica si presenta due volte nel corso dello sviluppo culturale degli uomini e si può osservare nello sviluppo dei bambini: prima sul piano sociale e successivamente su quello individuale; inizialmente come risultato di un’attività svolta fra le persone e successivamente come attività padroneggiata dall’individuo che opera da solo.” Lo sviluppo cognitivo della persona deve essere ricondotto alle sue interazioni nell’ambiente. Attraverso un processo di interiorizzazione, il comportamento esiste prima socialmente e poi diventa parte del comportamento interno. Le forme superiori delle funzioni mentali (attenzione selettiva, memoria strategica, problem solving, comprensione del linguaggio) sono prodotti da mediazione semiotica, cioè la possibilità di usare segni che conferiscono il potere di regolare e modificare forme naturali di comportamento e cognizione (esempio: un alunno sottolinea le informazioni più importanti in un testo per studiare > la capacità di memoria meccanica, forma naturale di comportamento, in questo modo viene trasformata in una forma culturale superiore). Per effettuare interiorizzazione e mediazione semiotica, è fondamentale il linguaggio nell’interazione fra le persone, il quale ha un’origine sociale e successivamente diventa egocentrico (discorso interno). Lo sviluppo delle forme superiori di processi mentali nei bambini avviene attraverso la loro acculturazione nella società mediante l’educazione > la pratica educativa deve enfatizzare l’aspetto interattivo (tra educatore e bambino e tra pari). L’apprendimento cooperativo influenza l’alfabetizzazione e tutte le acquisizioni tipiche delle funzioni cognitive superiori dell’uomo. “L’apprendimento umano presuppone una specifica natura sociale e un processo atto a consentire ai bambini di far propria la vita intellettuale di coloro che li circondano”. Nella psicologia di V.: ruolo fondamentale dell’ambiente nel quale i bambini crescono e alla funzione svolta dagli adulti/bambini più grandi in quanto già esperti di cultura. 1.2 Il concetto di zona di sviluppo prossimale = concetto che descrive le interrelazioni fra esterno e interno, fra i processi sociali e quelli cognitivi. Costrutto che si riferisce all’area situata tra le competenze della persona e il suo livello di sviluppo potenziale: “distanza tra livello attuale di sviluppo del bambino, cos’ come è determinato da problem soling autonomo e il libello di sviluppo potenziale, cos’ come è determinato attraverso il problem soling sotto la guida di un adulto o in collaborazione con i propri pari più capaci.” > differenza tra 2 prestazioni del bambino: senza e con aiuto. Vygotskij: critica i test psicologici della valutazione delle abilità > misure statiche, non si può stimare effettivamente il funzionamento mentale > da questa critica viene elaborato il metodo funzionale della “doppia stimolazione”: si presenta agli allievi, nel loro normale ambiente di vita, un compito considerato al di sopra delle loro possibilità del momento, vengono offerti nuovi stimoli (suggerimenti parziali, domande, 25 ventaglio di soluzioni, lavorare efficacemente in gruppo, apprendere in modo costante. L’aggancio i compiti autentici risulta significativo anche ai fini in televisivi, il richiamo alle situazioni reali mette ogni di fronte alla possibilità di esprimere il proprio potenziale facendo riferimento a sapere estranei a quelli che utilizza nella realtà di ogni giorno. Come sottolineano anche le linee guida del Miur i progetti svolti dalle scuole entrano a pieno titolo nel ventaglio delle prove autentiche e le prestazioni e comportamenti degli alunni al loro interno sono elementi su cui basare la valutazione delle competenze. 2.2. Il processo osservativo sulle competenze e la riflessione metacognitiva I risultati che si rilevano nell’esecuzione dei compiti autentici mostrano la manifestazione esterna della competenza, il prodotto non sono, però, in grado di fornire informazioni sul processo che ogni allievo mette in atto. Ne consegue l’esigenza di indagare, attraverso più o meno strutturati, alcuni parametri riferiti al percorso messo in atto dall’allievo, alla sua motivazione e qualità della partecipazione, all’assunzione di responsabilità e al livello di autonomia nell’organizzazione del lavoro, alla relazione E collaborazione attiva con i compagni, alla capacità di proporre e mettere in atto soluzioni originali e pertinenti per affrontare i compiti. Vari autori (McTighe, Ferrara, Castoldi) hanno proposto delle rubriche valutative. Si tratta di scale nelle quali sono indicate dimensioni e indicatori riferiti a una certa competenza. Castoldi individua alcune componenti principali che devono essere previste in una rubrica valutativa: - le dimensioni: indicano le caratteristiche peculiari - i criteri: definiscono i traguardi formativi - gli indicatori: precisano attraverso quali evidenze riconoscere la presenza o meno dei criteri - le ancore: forniscono esempi concreti di prestazione riferite agli indicatori prescelti - i livelli: precisano i gradi di raggiungimento dei criteri considerati sulla base di una scala ordinale che si dispone dal livello più elevato a quello meno elevato. I livelli sono espressi con degli aggettivi: avanzato, intermedio, base, iniziale. Questo livello di analisi può concretizzarsi soltanto attraverso una procedura di tipo auto valutativo, condivido chiamato a osservare, giudicare la sua esperienza di apprendimento e la sua capacità di rispondere ai compiti richiesti dal contesto di realtà nel quale si trova ad agire. La narrazione di sé, del percorso cognitivo compiuto, fatta con strumenti diversi, assume una posizione e un ruolo preminente. Alcuni autori (Castoldi, Ellerani, Zanchin) suggeriscono autobiografie cognitive, che altro non sono se non il racconto, da parte dello studente, del percorso cognitivo compiuto l’autovalutazione del prodotto realizzato e soprattutto del processo adottato per rispondere alla situazione problema. Questi sono strumenti che assolvono ad una funzione riflessiva metacognitiva. Queste procedure legate alla narrazione di sé hanno trovato applicazione molto interessanti anche nella didattica speciale, soprattutto come strumenti utili per la ricostruzione dell’identità personale degli individui; con alcuni accorgimenti metodologici, possono diventare strumenti per stimolare una consapevolezza metacognitiva, negli allievi con compromissione non troppo pesanti. 2.3. La certificazione delle competenze Le indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 introducono il concetto di certificazione delle competenze, 26 ma le caratteristiche della certificazione vengono definite solo con la C.M 3/2015. Dopo due anni di sperimentazioni nelle scuole, prorogati per un’ulteriore annualità in attesa del D.Lgs. 13aprile 2017, n. 62, applicativo della legge 107/2015, L’adozione del modello di certificazione delle competenze diventerà obbligatoria. Tale decreto sulle norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato ribadisce l’importanza della certificazione delle competenze chiave e delle competenze di cittadinanza al termine della scuola primaria del primo ciclo di istruzione, anche per gli allievi in situazione di disabilità, in coerenza con gli obiettivi del PEI. Come sostengono le linee guida tale documento deve contenere una valutazione complessiva in ordine alla capacità degli allievi di utilizzare i saperi acquisiti per affrontare compiti e problemi complessi e nuovi e come tale riveste anche una funzione orientativa per la prosecuzione della frequenza scolastica. Il modello di certificazione delle competenze proposto dal Miur, integrato con una sezione aggiuntiva riferita agli obiettivi del Pei, è articolato in quattro colonne: - le competenze chiave europee; - le competenze indicate dal profilo finale dello studente (semplificate linguisticamente al fine di consentire un agevole lettura e interpretazione da parte delle famiglie); - gli obiettivi del Pei; - i livelli da attribuire a ciascuna competenza, articolati su quattro indicatori di padronanza. Capitolo 8 star bene a scuola: clima e regole condivise Il clima che si respira nella classe incide in maniera significativa sulla qualità dell’apprendimento di tutti gli allievi. È importante che tutti percepiscono di stare in un contesto che accoglie con serenità, che comprende e non penalizza l’errore, nel quale ci si senta supportati e stimolati a ricercare il successo insieme agli altri. Come sostiene Mitchell ci sono tre fattori principali che devono essere tenuti in primo piano per la promozione di un clima positivo e favorevole: la qualità e l’intensità delle relazioni che si vengono a determinare; lo stimolo all’apprendimento di tutti e di ciascuno; la modalità di conduzione e gestione della classe da parte dell’insegnante, all’interno di un sistema di regole condivise. Va considerata con attenzione anche l’organizzazione della classe come ambiente fisico, che deve avere connotazioni accoglienti e gradevoli. Le procedure condivise, le regole precise, le routine rispettate sono indispensabili per creare un clima positivo; l’intenzionalità educativa trova il suo ambiente ideale nella chiarezza delle regole e non nel disordine. 1. La classe come contesto relazionale Gli elementi che giocano un ruolo fondamentale per la promozione di un’adeguata e significativa rete di relazioni nella classe sono relativi all’attenzione che viene dedicata a ogni allievo, all’accettazione e alla valorizzazione di ciascuno, alla coesione che si riesce a ottenere nella classe. 27 È necessario che tutti avvertano di essere importanti per il proprio insegnante, il quale stabilisce una relazione significativa con ognuno, gli allievi devono sperimentare un senso di appartenenza. Per ciascun alunno è significativo sapere che l’insegnante si preoccupa per la sua situazione e che i compagni sono disponibili per aiutarlo a fare qualsiasi cosa. È fondamentale per l’insegnante usare sempre un atteggiamento cortese quando rivolge delle richieste, pretendendo, allo stesso tempo, il medesimo approccio da parte degli allievi. Occorre inoltre rispettare l’alunno anche quando commette azioni in appropriate mettendosi in una condizione di ascolto. L’atteggiamento aperto nei confronti delle opinioni degli allievi sollecita la partecipazione e promuove e la responsabilità dei singoli. Va messo in evidenza come le relazioni vengano attivate pure attraverso una conoscenza e valorizzazione delle differenze. Alcuni allievi, in particolare quelli che presentano BES, a causa delle frequenti esperienze di insuccesso che sperimentano, possono costruire e consolidare un senso di inadeguatezza, al quale si connette un atteggiamento di sfiducia e di rinuncia alla partecipazione attiva nel contesto della classe. Per evitare ciò è necessario che l’insegnante dedichi attenzioni positive ogni alunno, facendogli sentire il suo interesse e soprattutto la sua convinzione che possano farcela. Un ulteriore aspetto sul quale è possibile lavorare per migliorare il clima della classe nel senso dell’inclusività è quello di stimolare un reale senso di appartenenza di tutti gli allievi al gruppo. Festeggiare insieme alcune occasioni, non solo quelle classiche come compleanni, ma anche più informali può creare delle condizioni di reale vicinanza e rafforzare il senso di appartenenza e di identità dei componenti del gruppo classe. In questo contesto sistemico, anche le differenze rivestono un valore specifico, da promuovere come risorsa e non da penalizzare come elemento che si distanzia da un concetto precostituito di norma. Per quanto riguarda le situazioni di disabilità, nel momento in cui le stesse diventano oggetto di studio scientifico, stimolando la discussione e l’approfondimento dei compagni, le paure e le incertezze diminuiscono e la diversità assume sempre più la valenza di condizione presente che non inficia la dignità e l’originalità della persona, anzi la esalta. La conoscenza facilita anche la comprensione di quelle che possono essere le risposte migliori e più naturali ai bisogni specifici degli allievi. 2. La classe come contesto di apprendimento. È fondamentale che oltre alle attenzioni particolari da dedicare a ciascuno alunno, l’insegnante adotti anche alcune procedure metodologiche che possano stimolare il successo formativo di tutti e anche attraverso questo promuovere un clima adeguato nella classe. Tre aspetti sono di sostanziale significato in merito: • l’attenzione a come vengono presentati gli obiettivi e le aspettative; • l’abbassamento dei livelli di competitività e la promozione della cooperazione; • il mostrare agli allievi come essi siano i veri responsabili del proprio successo, enfatizzando lo sviluppo di un locus of control interno. 2.1. Comunicare gli obiettivi e le aspettative Va evidenziata l’importanza di illustrare chiaramente gli obiettivi in relazione all’apprendimento della classe 30 dell’insegnante e pure va sottolineata l’esigenza che l’insegnante possieda forti dosi di autocontrollo per poter affrontare contesti potenzialmente stressanti senza scaricare ansia e aggressività nelle interazioni. È diffusa l’idea che l’autocontrollo costituisca un tassello di quello che viene definito il carattere della persona, al contrario l’autocontrollo è il risultato di una serie di competenze che possono e devono essere apprese e continuamente affinate e migliorate. 3.2. Condividere le regole La classe come sistema sociale complesso e articolato Siri Gesù regole precise, che devono essere accettate e rispettate da tutti. Questa condizione diventa davvero significativa nel momento in cui l’adesione alla regola da parte di ognuno è il frutto di una condivisione e non di semplice imposizione. È opportuno concordare con gli alunni regole e procedure, verificando che siano state comprese e illustrare al tempo stesso gli effetti dei comportamenti inadeguati. Per farsi che una regola venga interiorizzata e rispettata e necessario che ciascuno ne comprenda la funzioni, ossia si renda conto che si tratta di una condizione utile per la vita della classe. Risulta significativo creare, fin dei primi giorni di scuola, un momento di dialogo e confronto con gli allievi in modo che si sentano parte attiva nella definizione delle buone regole di comportamento. È utile cercare di specificare impositivo i comportamenti attesi, invece che come semplici negazioni: ad esempio dire che in classe si cammina e ci si sposta lentamente per non disturbare gli altri è diverso da sostenere che è vietato correre. Questo non significa bandire la negazione ma in ogni caso è opportuno tentare di sostituirla. Le regole una volta stabilite e concordate vanno rispettate e nel caso in cui questo non avvenga l’alunno o gli alunni dovranno assumersene la responsabilità, accettare le eventuali sanzioni decise e cercare di riparare. Il concetto di fondo non è quello di punizione ma di responsabilità. L’invito che viene rivolto agli insegnanti è quello di essere autorevoli e non autoritari. L’autorevolezza si conquista anche attraverso l’atteggiamento che viene mostrato che deve essere fermo e deciso ma non aggressivo e intimidatorio. Adottando questo approccio l’insegnante è portato a valutare il comportamento inadeguato dell’allievo come un tentativo di modificare le regole del gruppo, per affrontare contenere questa situazione può tendere allora a utilizzare le risorse educative del gruppo che ha contribuito all’elaborazione delle regole che vigono in classe e che risulta essere, pertanto un prezioso alleato per assicurarne il rispetto da parte di tutti. 4. La classe come contesto fisico accogliente Mitchell sostiene come l’ambiente soprattutto quello scolastico possa incidere sulla qualità dei processi di apprendimento. Situazioni poco confortevoli sfociano in conseguenze negative di tipo emotivo, cognitivo e comportamentale. Nello specifico l’effetto negativo del rumore può risultare particolarmente rilevante sugli insegnanti e sugli allievi soprattutto in riferimento a quelli che presentano Bes legati a specifici deficit, a disturbi dell’attenzione e dell’apprendimento e a particolari forme di svantaggio socioculturale. Un’altra variabile ambientale di rilievo è l’organizzazione spaziale delle aule, dagli anni 80 soprattutto in ambito anglosassone è stata introdotta la disposizione dei banchi a gruppi. Le ricerche hanno messo in 31 evidenzia però come non esista una disposizione ottimale da preferire alle altre ma che la stessa deve essere commisurata alle diverse tipologie di attività didattiche che vengono svolte. L’esigenza quindi e di poter disporre di spazi modulabili che possono prevedere anche spostando i banchi e gli arredi, di fare un’attività collettiva o in gruppi di varie dimensioni. Anche l’attenzione all’illuminazione, alla gradevolezza degli arredi e ai colori dei diversi ambienti riveste un’importanza non marginale per favorire il benessere personale e la percezione degli spazi, comunicandone utilizzazioni e funzionalità. In conclusione non esiste una disposizione ottimale per qualsiasi attività: la situazione ideale è progettare edifici scolastici o adattare quelli esistenti in modo da facilitare al massimo la flessibilità. Oltre alle caratteristiche fisiche dell’aula e alla disposizione dei banchi e arredi, giocano un ruolo significativo anche le posizioni che vengono a occupare gli insegnanti. La didattica moderna finalizzata a promuovere contesti sempre più inclusivi, richiede un atteggiamento diverso da quello tradizionale. Una buona parte del tempo dell’insegnante deve essere speso per entrare nello spazio degli allievi supervisionando e dando supporto quando necessario. Capitolo 9 Arrivare la risorsa compagni: educare alla socialità 1. Sviluppare competenze assertive: il problem solving interpersonale Il comportamento sociale dipende da una serie di comportamenti che fanno riferimento sia ad aspetti cognitivi e affettivo emozionale che ha una serie di altri fattori, quali il controllo sociale, i modelli parentali e culturali, quelli proposti dai mass-media. Il programma che viene presentato: “interpersonal cognitive problem solving” (icps) di Spivack enfatizza gli aspetti cognitivi del comportamento interpersonale ma pur avendo dimostrato in molte occasioni la propria efficacia nel promuovere competenze assertive non può essere considerato una modalità esclusiva di intervento in ambito sociale. La caratteristica principale del programma consiste nel fatto che non si cercano di imporre al soggetto delle soluzioni sociali preconfezionate, quanto di insegnare delle strategie di pensiero che consentano la scelta di una soluzione di problemi interpersonali fondata su attente e accurate valutazioni delle proprie azioni e di quelle altrui. In concreto la promozione di abilità per il problem solving interpersonale viene ricercata attraverso tre azioni principali: • generare il maggior numero di alternative per risolvere i problemi relazionali; • anticipare cosa potrebbe accadere; • pianificare passo dopo passo i mezzi per raggiungere i propri scopi. Spivack e Shure hanno proposto un programma per la scuola dell’infanzia e per le prime classi della scuola primaria e un programma per le classi finali della scuola primaria. 1.1. Il programma per la scuola dell’infanzia e per le prime due classi della scuola primaria Il programma ICPS per la scuola dell’infanzia E per le prime due classi della scuola primaria propone due vini di lavoro principali: 32 • la strutturazione di una serie di prerequisiti linguistico concettuali; • la ricerca di soluzioni alternative a un problema sociale e la valutazione delle loro potenziali conseguenze, vale a dire il problem solving interpersonale. Per essere in grado di costruire soluzioni alternative di fronte un problema, l’allievo deve padroneggiare alcune abilità linguistiche e concettuali di base. Le parole chiave su cui il programma si concentra sono: e, non, o, uguale, diverso ecc... sono usate in un contesto interpersonale, come aiuto per identificare preferenze individuali e differenze interpersonali. La struttura del programma prevede una serie di lezioni gioco della durata di circa 20 minuti ciascuna. Spivack e Shure ne riportano 11 relative ai prerequisiti linguistici, 14 sulla identificazione dei contenuti emozionali, 12 sul problem solving. Si tratta di semplici indicazioni metodologiche che l’insegnante può e deve ampliare in relazione all’età degli allievi e ai contenuti che vuole sviluppare. (Esempi nei riquadri da 1 a 5). 1.2. Il programma per le ultime classi della scuola primaria Il programma indirizzato agli allievi delle ultime classi della scuola primaria ricalca nelle linee essenziali quello riferito ai bambini della scuola dell’infanzia e delle prime due classi della primaria. Anche in questo caso è prevista una serie di lezioni gioco interattive, la cui durata dovrebbe estendersi a 30/40 minuti per lezione. Sono indicati due livelli di attività finalizzate a sviluppare: • le abilità di problem solving, le attività sono indirizzate a favorire negli allievi l’apprezzamento dei sentimenti propri e altrui; • le abilità di ICPS. L’obiettivo è sempre quello di aiutare a generare il maggior numero di alternative per risolvere i problemi di ogni giorno, anticipare cosa potrebbe accadere come conseguenza di ogni azione e pianificare passo dopo passo i mezzi per raggiungere gli scopi prefissati. (Esempi nei riquadri 6 e 7). 1.3. Attivazione della risorsa compagni per l’inclusione e problem solving interpersonale: un esempio di applicazione (Riquadro 8) 2. Educare all’aiuto: la Prosocialità Educare gli allievi alla messa in atto di condotte prosociali rappresenta chiaramente una condizione di grande importanza per lo sviluppo di didattiche finalizzate all’inclusione. Promuovere un atteggiamento orientato alla valorizzazione degli aspetti positivi dei compagni, alla promozione di azioni di aiuto e sostegno è la base sulla quale cercare di costruire quel clima favorevole all’inclusione. La messa in atto di azioni pro sociali di aiuto nei confronti di compagni in situazioni di disabilità o con altri bes dipende da una serie di condizioni che fanno riferimento al possesso delle seguenti capacità: abilità cognitive, assertività, empatia, autocontrollo. Abilità cognitive: capacità di leggere e interpretare lo stato di bisogno del compagno, della valutazione della 35 fra le competenze del tutor e quelle del tutee, che rende difficoltosa l’alternanza dei ruoli e la possibilità per l’allievo con BES di svolgere il ruolo di tutor. • Fra allievi di diversa età→ il tutor assicura la possibilità di sviluppare insegnamenti individualizzati altrimenti impossibili, utilizzando materiali predisposti dall’insegnante. Molta cura deve essere posta nella formazione dei tutor. In questa tipologia gli allievi con BES possono ricoprire anche il ruolo di tutor e non solo quello di tutee. • Con allievi in difficoltà nel ruolo di tutor. Molto interessante è anche il Tutoring esteso a tutta la classe (Class Wide Peer Tutoring), gli allievi della stessa età lavorano in coppia per svolgere un compito, alternandosi nella funzione di tutor e tutee. Possono anche essere organizzate gare nelle quali la classe viene divisa in due squadre di pari abilità, con le diverse coppie che guadagnano punti sulla base delle risposte corrette date con o senza assistenza del tutor. Mitchell suggerisce alcuni spunti per un’adeguata implementazione di esperienze di Tutoring estese all’intera classe: • Assegnare in maniera random gli studenti in coppia e dire loro di alternare il ruolo di tutor e tutee • Riassegnare le coppie settimanalmente • Organizzare per il Tutoring uno spazio orario di 15/20 minuti per sessione su tre o quattro giorni a settimana • Selezionare il materiale di autocorrezione • Supervisionare attentamente gli allievi. Può essere aggiunto, inoltre, un osservatore per ogni coppia per controllare lo svolgimento del lavoro. Le variabili del Peer Tutoring per allievi con BES sono: • Il contesto • La selezione degli allievi da impiegare nel ruolo di tutor e tutee • I contenuti • I materiali didattici • Gli aspetti organizzativi • Le strategie di insegnamento • L’attenta supervisione. 2. L’APPRENDIMENTO IN GRUPPI COOPERATIVI Il Cooperative Learning si fonda su due caratteristiche fondamentali dell’apprendimento: • Il riconoscimento che nel momento in cui gli allievi collaborano e cooperano, questo determina un effetto sinergico in grado di produrre risultati superiori alla somma degli sforzi individuali e delle capacità messe in campo dai singoli. • Il riconoscimento di come gran parte della conoscenza sia costruita socialmente, attraverso il contatto e l’interazione con l’ambiente di vita. Il ruolo dell’insegnante deve modificarsi: da erogatore d’informazioni deve trasformarsi in guida e facilitatore dei processi di apprendimento. 36 I gruppi vanno formati con un criterio di grande eterogeneità (a livello di competenza, classe sociale, sesso, ecc) in un numero che va da due a sei componenti per gruppo. Le condizioni specifiche per applicare l’apprendimento cooperativo sono: • L’interdipendenza positiva→ sviluppata in diverse maniere, in modo che gli alunni si sentano uniti e impegnati a lavorare insieme: rendere visibile la finalità, stimolare i membri a suddividere il lavoro, assegnare ruoli complementari e interconnessi, condividere le risorse. • La responsabilità individuale e di gruppo→ lo scopo comune è raggiunto attraverso il lavoro dei singoli, è necessario collaborare anche a favore del compagno in difficoltà. Attraverso il monitoraggio costante del lavoro e il supporto reciproco in singolo può esercitare abilità e competenze maggiori rispetto al lavoro individuale. • Le competenze sociali → richiedono il possesso da parte dei componenti del gruppo di specifiche abilità assertive e prosociali, le quali sono a fondamento della disponibilità ad aiutare e farsi aiutare, a incoraggiarsi e a migliorarsi reciprocamente. • La revisione e il perfezionamento continuo del lavoro di gruppo→ valutazione critica sull’operato e sui risultati ottenuti. La valutazione, in questo modo, diventa formativa e sollecita una riflessione di tipo metacognitivo. I principali modelli operativi di Cooperative Learning sono: • Learning Together → Comoglio prevede di far lavorare gli studenti in gruppi eterogenei di quattro o cinque allievi, su compiti comuni e assegnando a ciascuno uno specifico ruolo. I compiti principali che l’insegnante è chiamato a svolgere sono: • Definire gli obbiettivi e decidere le dimensioni, le modalità di formazione e la durata dei gruppi • Assegnare i ruoli agli studenti e stabilire le modalità di organizzazione del lavoro • Illustrare agli studenti cosa sono l’interdipendenza positiva, la responsabilità individuale e le abilità cooperative • Monitorare gli allievi nel loro lavoro di gruppo • Strutturare le attività da svolgere a conclusione del lavoro. Per quanto riguarda i ruoli che gli allievi sono tenuti a ticoprire sono ruoli di tipo sociale e cognitivo (es. controllare i turni, registrare, incoraggiare la partecipazione, chiarire o parafrasare. Ecc ecc). • Complex Instruction → Cohen evidenzia dei limiti nel lavoro di gruppo che utilizza gruppi eterogenei, poiché ritiene che la differenza di status dei membri incida in modo considerevole sulla partecipazione al lavoro. Il rischio è che il più bravo diventi sempre più bravo, perché incline ad intervenire maggiormente. La risoluzione dei “compiti complessi” richiede una serie di abilità diverse che non possono essere possedute e messe in campo da un solo individuo. Cohen utilizza dei “centri di apprendimento”, nei quali gli studenti in gruppo lavorano in modo diverso su materiali differenti, ma collaborano attivamente fra loro. I gruppi sono solitamente formati da quattro o cinque allievi, salezionati casualmente con il sono controllo dell’effetto di status. Il ruolo assegnato all’insegnante ricalca sostanzialmente quello del metodo precedentemente descritto. 37 • Student Team Learning→ Salvin descrive diversi metodi di apprendimento cooperativo che prevedono la competizione fra gruppi omogenei di abilità. Importante è la responsabilità individuale, in terminni di miglioramento del rendimento di ognuno. Sono state cinque tecniche principali di questo metodo: • Student Team Achievement Division (STAD): prevede che gli insegnanti presentino inizialmente un nuovo argomento alla classe. In seguito la classe viene divisa in gruppi eterogenei di quattro membri. Gli allievi del gruppo approfondiscono da soli le informazioni e quindi assistono gli altri compagni del team. La valutazione del lavoro dei gruppi avviene attraverso prove settimanali a somministrazione individuale con annotazione dei punteggi. I punteggi individuali vengono somministrati per formare i punteggi del gruppo. I rusultati individuali e di gruppo vengono resi pubblici enfatizzando il miglioramento rispetto ai livelli precedenti. • Teams-Game-Tournaments (TGT): i gruppi guadagnano punti se si impegnano in competizioni su contenuti scolastici. La fase iniziale è simile allo STAD, dopo la presentazione degli argomenti, gli studenti sono impegnati in tornei settimanali. I punteggi ottenuti hanno lo scopo di sostenere la motivazione legata alla competizione e non vengono utilizati per la valutazione di tipo scolastico. • Puzzle (JIGSAW): lavoro di gruppo nella quale gli studenti studiano individualmente parti di un contenuto diverse da quelle assegnate ai compagni del gruppo; le parti dell’argomento devono poi essere messe insieme per l’esito finale del lavoro. La procedura risulta più efficace quando l’obbiettivo didattico è quello di imparare concetti piuttosto che abilità. Dopo aver letto i fogli, alcuni studenti si incontrano in un “gruppo di esperti” temporaneo, composto da studenti che hanno studiato lo stesso argomento. Dopo un periodo di discussione, questi studenti ritornano nei rispettivi gruppi originali per insegnare agli altri membri tutto quello che sanno su quel tema. La valutazione è la stessa dello STAD e del TGT. • Team Assisted Instruction (TAI): programma di matematica che prevede l’utilizzo congiunto di apprendimento individualizzato o cooperativo. La premessa di base è che gli studenti meno bravi possono migliorare senza rallentare quelli bravi. Ciò si realizza mettendo studenti di livello basso, medio e alto in gruppi di quattro o cinque componenti. Le fasi di lavoro sono: • Gli studenti vengono testati e posti in un punto appropriato di un programma individualizzato • Lavorano in modo indipendente, ciascuno al proprio livello, e svolgono i loro compiti • Si incontrano in gruppi, in cui scambiano docmenti e relazioni, controllano le reciproche competenze matematiche, si aiutano a vicenda, ecce cc • Compilano una prova di verifica individuale • Al completamento dell’unità didattica, ogni gruppo riceve un punteggio complessivo ricavato dal numero medio di esercizi completati individualmente. Questa strategia risulta idonea a favorire l’integrazione scolastica di allievi in situazione di disabilità. Il ruolo dell’insegnante è quello di introdurre i concetti complessi. • Cooperative Integrated Reading and Composition (CIRC): apprendimento cooperativo specifico per l’insegnamento della lettura e della scrittura. I gruppi vengono formati, dopo una valutazione delle abilità di ogni alunno, da coppie con pari livello di competenze. Le componenti principali del CIRC cono tre: 40 I due sottoinsiemi agiscono in maniera integrata e determinano quello che viene chiamato lo span verbale, cioè il numero di elementi fonologici che possono essere mantenuti in memoria di lavoro in funzione dello svolgimento di compiti cognitivi di varia natura. • Taccuino visuospaziale → è un sistema multiforme costituito da due componenti: quella visiva e quella spaziale. La prima, legata agli aspetti visivi dell’immaginazione, risponde a domande sul “che cosa”; la seconda, è responsabile della localizzazione degli stimoli e risponde a domande circa il “dove”. Il taccuino svolge un ruolo fondamentale per la gestione delle immagini e per l’effettuazione di operazioni su di esse, per l’orientamento geografico e per la risoluzione di compiti spaziali. • Buffer episodico → viene utilizzato come un’interfaccia tra i vari sistemi, i quali utilizzano codici differenti che devono essere integrati in una rappresentazione che tende ad assumere caratteristiche episodiche. Si tratta di un sistema a capacità limitata controllato dall’esecutivo centrale, che provvede a memorizzare episodi mettendo insieme informazioni provenienti da una varietà di fonti, modificandole e manipolandole in una rappresentazione che tiene conto anche dei parametri spaziali e temporali. La memoria a lungo termine consiste in un sistema estremamente complesso a cui non è demandato soltanto il compito di mantenere un grandissimo numero di dati e informazioni, ma anche quello di conservare una serie di meccanismi e processi mentali che agiscono su tali dati e che guidano gran parte del nostro comportamento. Squire prevede una distinzione tra: • Memori esplicita → coinvolta nel richiamo e nel riconoscimento intenzionale di esperienze e infrmazioni. Si distingue in: • Memoria episodica: è la memoria autobiografica, nella quale vengono registrate tutte le nostre esperienze. Questi ricordi sono ricchi di dettagli, con particolare riferimento alla dimensione spazio-temporale. • Meoria semantica: enciclopedia mentale, l’insieme di conoscenze organizzate che possediamo a proposito delle parole e degli altri simboli verbali, del loro significato ecc. • Memoria implicita → riguarda quelle prestazioni di tipo mnestico previste in compiti di vario tipo, che vengono messi in campo in modo automatico. Cohen e Squire operano un ulteriore differenziazione della memoria a lungo termine che chiamano memoria procedurale, ovvero la capacità di ricordare tutte le routine che permettono di eseguire compiti più o meno complessi, dal giocare al pallone ad aprire una scatoletta ecc. Esistono varie strategie di memoria: • Reiterazione • Codifica • Associazione • Mediazione • Organizzazione. Verso la fine degli anni 70 del secolo scorso, sono cominciati a comparire i primi studi relativi alla metacognizione. Metacognizione = consapevolezza del soggetto rispetto ai propri processi cognitivi. 41 Borkowski sviluppa un modello nel quale evidenzia come nell’esecuzione di un compito entrino in gioco, oltre alla conoscenza strategica specifica (grazie alla quale il soggetto conosce le strategie e sa come, quando e perché vanno usate), anche la conoscenza strategica generale (che riguarda il sistema di credenze e l’importanza attribuita all’impegno personale). Lo studente impara gradualmente a usare strategie appropriate per la risoluzione di un compito e, attraverso il feedback che riceve, apprende ad attribuire i successi all’impegno e all’uso corretto di strategie e gli insuccessi al mancato utilizzo di strategie adeguate. 2. POTENZIARE LE STRATEGIE DI MEMORIA Le due grandi ipotesi attraverso cui possono essere spiegate le difficoltà di memoria degli allievi con ritardo mentale richiamano l’esistenza di danni strutturali o di deficit ascrivibili ai processi di controllo. Ellis è il più autorevole sostenitore della presenza di deficit strutturali, sostiene che i soggetti con ritardo mentale, essendo caratterizzati da una struttura cerebrale differente in confronto ai loro coetanei normodotati, sono sostanzialmente insensibili a qualsiasi modalità educativa, in quanto risultano compromesse quelle condizioni fisse e non rieducabili del loro sistema di memoria. LA posizione di Ellis si è evoluta nel tempo fino a portarlo al riconoscimento dell’importanza di talune strategie di apprendimento, anche se – sempre secondo l’autore – l’aiuto che un soggetto con disabilità mentale può trarre da una strategia è insignificante rispetto a quello di cui può fruire un soggetto normale. Brown sostiene che i soggetti con deficit cognitivi si caratterizzerebbero pe il mancato utilizzo spontaneo dei sistemi di elaborazione delle informazioni. Un curricolo per il potenziamento della memoria persegue tre obbiettivi principali tra loro integrati: • Conoscenze delle strategie • Procedure metacognitive di controllo • Atteggiamenti generali verso le strategie. Il programma di lavoro, per ogni strategia di memoria, prevede due itinerari didattici: • Il curricolo prerequisiti da adottare quando si vogliono insegnare strategie per le quali l’allievo manifesta deficit molto gravi. A questo livello sono previsti solo modalità di organizzazione dei materiali in relazione alla strategia che si insegna; • Il curricolo strategico, basato su una serie di esercitazioni di memorizzazione e recupero, da adottare quando l’allievo presenta deficit lievi o “di produzione”. 3. LA DIDATTICA METACOGNITIVA 42 L’approccio metacognitivo tende a formare la capacità di essere gestori dei propri processi cognitivi, dirigendoli attivamente con valutazioni e indicazioni operative personali. Imparare a imparare è dunque l’obbiettivo di ordine superiore al quale si mira. L’educatore che adotta un approccio didattico di tipo metacognitivo può operare a quattro diversi livelli fra loro interconnessi: • Sulle conoscenze relative al funzionamento cognitivo generale → L’educatore fornisce all’allievo informazioni generali sul funzionamento della mente umana, adattandole chiaramente alle capacità di comprensione del soggetto. L’obbiettivo è quello di favorire la strutturazione di una teoria della mente. Anche con allievi che presentano disabilità intellettiva è possibile spiegare aspetti del funzionamento cognitivo, seppure a un livello non troppo sofisticato. • Sull’autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo → prende n considerazione il funzionamento della mente del bambino, distinta da quella generale considerata in precedenza. L’allievo viene aiutato ad apprezzare le capacità e i limiti della propria mente. Un ruolo molto importante è svolto dall’educatore, il quale fornisce dei feedback sulle prestazioni dell’alunno e lo stimola a indagare aspetti connessi al modo in cui i compiti sono condotti e i processi personali vengono attivati. Molto utili sono le strategie di autoistruzione e automonitoraggio. • Sull’uso di strategie di autoregolazione cognitiva→tentativo di guidare l’allievo nel controllo dei propri processi cognitivi finalizzati alla risoluzione di compiti. I momenti che caratterizzano questo processo di autoregolazione sono i seguenti: • Fissarsi un chiaro obbiettivo e specificarlo • Darsi delle istruzioni per effettuare concretamente le operazioni pianificate • Osservare l’andamento del processo di apprendimento • Confrontare i dati raccolti e l’evoluzione del processo di apprendimento • Prendere decisioni circa l’opportunità di continuare con le azioni intraprese in quanto risultano efficaci o attivare correzioni e modifiche. • Sulle variabili psicologiche sottostanti→è importante sviluppare linee d’azione che tengono in considerazione queste variabili e che aiutano l’allievo a sviluppare una percezione positiva di sé, come persona capace si ottenere successo nei processi di apprendimento. 4. STRATEGIE DIDATTICHE PER LE FUNZIONI EDUCATIVE Le funzioni mediate dall’esecutivo centrale esercitano nell’apprendimento un ruolo importante e la loro carenza si connette a deficit che possono investire la pianificazione, la flessibilità e il controllo cognitivo e comportamentale. Si possono distinguere: • Disfunzioni esecutive riguardanti la sfera attentiva, con allievi incapaci di inibire stimoli e pensieri distraenti e non correlati al compito, oppure che manifestano comportamenti ripetitivi. • Disfunzioni riguardanti la memoria di lavoro, con allievi che incontrano difficoltà quando il compito richiede l’esecuzione in sequenza di una serie di prassi, oppure che presentano una forte dipendenza dal contesto. 45 facilitare l'acquisizione di apprendimenti significativi e può rappresentare la base per la costruzione di "organizzatori anticipati", in quanto aiuta gli allievi a colmare il distacco tra le conoscenze già possedute e le nuove, partendo da un insegnamento preliminare più generale e passando successivamente all'acquisizione di contenuti specifici. 2. I compiti, solitamente erano fatti a casa, vengono invece svolti a scuola, ciò riveste il maggior interesse ai fini inclusivi; infatti l'insegnante, dato che i suoi alunni sono già avviati alle argomentazioni da sviluppare grazie allo studio preliminare svolto a casa (progettato per essere funzionale a questa fase di appropriazione), ha più tempo a disposizione per variare l'approccio didattico, renderlo più interattivo e soprattutto maggiormente vicino agli interessi e alle capacità di ognuno. I contenuti vengono costruiti attraverso un approccio attivo di concreta sperimentazione guidata dall'insegnante e sostenuta dallo studio individuale, portando all'interiorizzazione delle conoscenze e delle abilità, e al loro esercizio in contesti reali (consolidamento delle competenze). 3. Il processo valutativo si viene a caratterizzare non come momento a se stante, ma come condizione didattica integrata strettamente all'effettuazione delle attività in classe; il fatto di svolgere dei compiti a scuola aumenta il numero di prove valutabili e consente il monitoraggio continuo del percorso di apprendimento degli allievi, la valutazione diviene così maggiormente formativa e può associarsi a forme di autovalutazione da parte degli allievi. A livello inclusivo, l'analisi individuale dei materiali che precede il lavoro in classe può essere organizzata in modo tale da tenere in debita considerazione le differenze che caratterizzano ogni gruppo di allievi: possono essere predisposti materiali diversificati sia per difficoltà di contenuti, sia per tipologia (filmati, immagini, testi, ...); ogni alunno a casa può organizzare il proprio studio personale al ritmo che trova più congeniale, inoltre in questa fase possono essere sollecitate interazioni dirette e supporti tra studenti attraverso la rete. Avere più tempo in classe per esercitazioni individuali e di gruppo facilita il supporto specifico ai singoli allievi da parte dell'insegnante e la messa in campo di didattiche inclusive come il peer tutoring e l'apprendimento cooperativo. Una volta consolidato questo modello di lavoro, si possono progressivamente individualizzare le attività in base agli interessi e le attitudini di chi apprende. Infine la valutazione avviene nella quotidianità e fa riferimento a un'analisi diffusa, a momenti di autovalutazione e all'analisi di competenze attraverso lo svolgimento compiti autentici, in grado di portare in primo piano e valorizzare tutte le differenze che caratterizzano ogni gruppo classe. Cap. 12 – L'educazione delle emozioni La creazione di un clima positivo, la costruzione di adeguate relazioni e collaborazioni all'interno e al di fuori della classe, la disponibilità nei confronti degli altri, dipendono tutte dalla gestione della dimensione emozionale della persona che, insieme alla parte più strettamente cognitiva, regola, orienta e controlla il comportamento di ogni individuo. Le emozioni sono da considerare non come reazioni del corpo incontrollabili, ma rappresentano sistemi integrati di risposte fisiologiche, cognitive e comportamentali che possono contribuire a perseguire obiettivi personali o che, se gestite in maniera inadeguata, sono in grado di sabotare il, raggiungimento di tali finalità. È quindi evidente come l'obiettivo di creare un contesto classe inclusivo richieda di considerare e di educare in modo opportuno questa dimensione, insegnando agli allievi a riconoscere e gestire in modo efficace le proprie emozioni e tenendo conto che l'apprendimento di abilità di autoregolazione emozionale del bambino passa in gran parte attraverso la funzione di modello e di supporto dell'adulto. 46 Indaghiamo quindi il complesso mondo delle emozioni cercando di mettere in evidenza le prospettive didattiche, nello specifico: • delineazione del contesto e definizione delle emozioni ( cosa sono/come si manifestano(che finalità hanno/ differenze tra emozione e sentimenti, umore, stati d'animo); • individuazione di piste di lavoro didattico per favorire negli allievi l'adeguata regolazione emozionale nella prospettiva dell'inclusione; • analisi dell'importanza delle capacità dell'insegnante di gestire la propria emotività per sostenere gli alunni e porsi come modello positivo. 1. LA DIMENSIONE EMOZIONALE: DEFINIZIONE, ARCHITETTURA, FUNZIONI Gli anni Novanta sono caratterizzati dell'emergere di un nuovo filone di studi sulla componente emozionale che hanno assunto una rilevante dignità scientifica: a partire dal lavoro di Salovery e Mayer (1990) che introducono il concetto di intelligenza emotiva, passando al contributo di Goleman (1995) il quale mette in evidenza come il corretto funzionamento individuale dipende dal giusto equilibrio tra competenze cognitive ed abilità emotive. CHE COSA SONO LE EMOZIONI. Mentre gli studi precedenti tendevano a evidenziare i vari elementi che contraddistinguono la sfera delle emozioni (risposta fisiologica, effetto sulla componente cognitiva,...), nell'ultimo periodo la sempre più chiara delineazione della complessità e della multifattorialità tipica dell'evento emotivo ha portato alla ricerca di una sintesi tra le diversi dimensioni coinvolte, che intrecci quindi elementi biologici, psichici e sociali. Infatti la capacità dell'individuo di valutare cognitivamente una situazione e di attivare l'organismo per esprimere una risposta emotiva rapida e funzionale agli obiettivi personali, richiede una serie di componenti riferiti sia alla dimensione emozionale che a quella più prettamente cognitiva e relazionale, in interazione tra loro e in grado di influenzarsi a vicenda. Fedeli cerca di condensare questa visione multicomponenziale e dinamica affermando: "Le emozioni sono dei sistemi integrati fisiologico – cognitivo – comportamentali, la cui funzione è quella di favorire il perseguimento di obiettivi personalmente significativi, gestendo in modo rapido ed efficiente le transizioni con l'ambiente e ottimizzando i livelli di attivazione e di elaborazione individuali." La definizione sottolinea l'insieme integrato di reazioni che caratterizzano ogni evento emotivo, globalità che si esprime con alterazioni a livello corporeo (che riguardano principalmente sistema cardiaco, respiratorio e ormonale), cognitivo (modificazioni dei pensieri e nelle modalità di processamento delle informazioni) e comportamentale (condotte di attacco/di fuga/stati di irrequietezza/...); i tre ambiti non si sommano semplicemente tra loro, ma interagiscono, moltiplicando gli effetti. Inoltre la definizione fa riferimento al ruolo delle emozioni in relazione agli obiettivi che ogni individuo persegue: gli stati emotivi infatti non sono da considerare come semplici fenomeni legati a processi neurofisiologici conseguenti a stimoli ambientali particolari o ad elaborazioni cognitive; essi sono funzionali anche a specifiche finalità (es. Preservare l'incolumità personale per paura) e hanno funzione proattiva, ovvero sono in grado di guidare il comportamento verso obiettivi ritenuti importanti (a seconda della significatività dell'obiettivo raggiunto o inibito, l'individuo può sperimentare emozioni differenziate per valenza ed intensità). In tal modo le emozioni entrano nella storia del soggetto e acquistano significatività in base ad essa. Invece la gestione delle transizioni con l'ambiente si riferisce alla capacità di rispondere in modo molto rapido sulla base di alcuni segnali ambientali, spostando le risorse dell'individuo da un segnale all'altro: es. Un individuo impegnato nello svolgimento di un compito, se percepisce un segnale di pericolo come ad esempio un forte rumore, percepisce la paura e adotta rapidamente un comportamento di fuga che lo distoglie da ciò che stava facendo. Alcune posizioni che incrociano l'approccio modularistico (Oatley, Johnson-Lairds, 1987) interpretano le emozioni come il modo in cui il cervello elabora le informazioni 47 ambientali e consente l'attivazione progressiva ed il passaggio rapido da un modulo all'altro. Vedremo che questa condizione è assicurata dall'organizzazione del sistema nervoso che tende a processare le informazioni emozionali attraverso due vie: una connessa al sistema limbico che produce reazioni immediate; un'altra mediata invece dalla corteccia cerebrale, che genera reazioni emotive più controllate e consapevoli, ma anche più lente. Le emozioni infine contribuiscono a regolare i livelli di attivazione delle risorse personali, poiché sono in grado si recuperare e orientare funzioni cognitive (attenzione, memoria,...) e motorie per assicurare una buona prestazione, contribuendo anche a resistere alla stanchezza e alla tentazione di sospendere il compito per passare ad attività più gradite. Le emozioni di un individuo quindi non sono connesse solo a condizioni ambientali, ma anche a immagini delle quali può non essere del tutto consapevole. LA DIMENSIONE EMOZIONALE: ALCUNE DISTINZIONI PRELIMINARI. L'obiettivo di arrivare alla delineazione di alcune linee di lavoro per promuovere un'adeguata autoregolazione emozionale richiede di analizzare le differenti tipologie di emozioni (distinzione fra emozioni di base/ primarie/ secondarie) e la differenziazione fra i termini emozioni – sentimenti – stati d'animo che talvolta vengono erroneamente utilizzati come sinonimi. Vi sono infatti emozioni di base – primarie presenti fin dalla nascita, fra cui rientrano paura, rabbia, felicità, tristezza e disgusto; esse consentono al neonato di proteggersi da stimolazioni negative e di adattarsi progressivamente alle richieste dell'ambiente. Vengono dette secondarie invece le emozioni che intervengono in seguito nello sviluppo, frutto del coinvolgimento del pensiero e dell'elaborazione di situazioni più complesse; esse possono venire influenzate da condizionamenti sociali, culturali e da processi educativi (tra queste vergogna, senso di colpa, orgoglio, imbarazzo,...). Tali tipologie di emozioni danno luogo a risposte differenti, relativamente rigide per quanto riguarda quelle di base (in quanto iscritte in precisi circuiti neurali), molto flessibili e diversificate per quanto riguarda invece le emozioni secondarie. Questa duplice modalità di articolazione delle risposte emozionali dipende primariamente dalla particolare organizzazione delle aree cerebrali coinvolte nell'elaborazione delle emozioni; fondamentale il ruolo svolto dall'amigdala, capace di integrare i segnali provenienti dall'ipotalamo e dalla corteccia cerebrale (quindi un vero e proprio crocevia di emozioni): essa consente una scansione rapida della scena visiva per estrarre rapidamente l'informazione per distinguere se si è realmente di fronte a qualcosa di potenzialmente pericoloso; l'informazione viene trasmessa ai centri del tronco encefalico che mediano risposte rapide (es. fuga). In parallelo, una scansione più lenta e precisa dello stimolo visivo è svolta dalla corteccia visiva e l'informazione estratta viene usata nel processo decisionale di tipo razionale. La mente emozionale è dunque molto più rapida di quella pensante, questo spiega il perché non possiamo scegliere le emozioni che abbiamo: se trasferiamo questo concetto a livello scolastico, tutte le emozioni hanno legittimità di esistere, ma l'insegnante può sicuramente agire sulla legittimità o illegittimità del modo di esprimersi. La stretta connessione esistente tra amigdala e aree prefrontali (sede di attivazione di aspettative, convinzioni e memorie) è in grado di influenzare, con tempi un po' più lunghi, l'elaborazione dello stimolo nelle strutture subcorticali, conferendo a ogni individuo una grande ricchezza nell'espressione emotiva e una capacità di autoregolazione. Per concludere, la differenza tra emozioni primarie e secondarie è che le prime dipendono da circuiti presenti già alla nascita, che si attivano in presenza anche di poche stimolazioni; viceversa quelle secondarie si fondano su circuiti più complessi e richiedono sequenze di stimolazione più articolate per attivarsi. Questa distinzione tuttavia non va considerata come assoluta: studi in campo neuroevolutivo mostrano come alcune emozioni secondarie appaiano molto più precocemente che in passato (es. 50 riferimento al ricordo delle emozioni provate in passato affrontando eventi simili, e intanto stimare quella che potrebbe essere la situazione emozionale nell'immediato e a distanza di tempo considerando le competenze emozionali attualmente disponibili (operazioni che richiedono il supporto di un adulto per poter essere progressivamente regolate). 2°LIVELLO – Il bambino può cercare di regolare le emozioni operando sull'interpretazione cognitiva delle emozioni al fine di prevenire o modificare una specifica reazione affettiva. → Per cercare di elaborare dal punto di vista cognitivo, stati emozionali potenzialmente negativi o determinanti reazioni comportamentali inadeguate, Gross propone di: • attribuire significati differenti (es. interpretare un rimprovero come uno stimolo a far meglio e non come atteggiamento punitivo); • reinterpretare l'attivazione emozionale, attribuendo significati diversi e positivi a stati fisiologici (es. ritenere l'aumento del battito cardiaco durante un compito non come pura dello stesso, ma come eccitazione); • accrescere il proprio senso di autoefficacia per affrontare una prestazione ansiogena; • non dare assoluta centralità ad un evento nel quale si ha avuto un esito sfavorevole, contenendo così il livello negativo delle emozioni associate. 3° LIVELLO – Il bambino può cercare di regolare le emozioni cercando di modulare gli aspetti espressivi di un'emozione quando si è verificata, di tipo sia fisiologico che comportamentale. → quando l'emozione negativa si è manifestata, si può agire solo per cercare di modulare gli aspetti espressivi; l'obiettivo è quello di limitare il livello di attivazione, agendo sulle componenti corporee di un'emozione si tenta di controllare il comportamento senza attivare reazioni immediate e negative (es. rallentare il ritmo respiratorio, contare sottovoce per allentare la tensione,...) L'autoregolazione emotiva consiste quindi nella regolazione attiva di una o più di queste fasi al fine di ottimizzare il proprio livello di attivazione. L'azione degli adulti (soprattutto genitori e insegnanti) è fondamentale, anche per quanto riguarda la loro capacità di essere modelli positivi nella gestione delle proprie emozioni. 2. COME EDUCARE ALLE EMOZIONI NELLA PROSPETTIVA DELL'INCLUSIONE Dal modello di intelligenza emotiva sviluppato da Goleman, ha preso avvio nel contesto scolastico un approccio conosciuto nel contesto internazionale come Social and Emotional Learning (SEL), il cui obiettivo è quello di affermare che lo sviluppo delle cinque competenze di base (1.3) deve diventare parte essenziale dell'educazione non solo per il raggiungimento di traguardi scolastici positivi, ma anche per un generale benessere personale e sociale degli allievi. È evidente come l'educazione socioemotiva abbia forti connessioni con la prospettiva inclusiva, in quanto la capacità di creare un buon clima di classe favorisce il crearsi di rapporti di aiuto e sostegno fra allievi. I programmi SEL più diffusi consistono in proposte altamente strutturate, con esercizi e manuali con istruzioni dettagliate per unificare le procedure e rendere possibili ricerche su larga scala sulla loro efficacia. L'impostazione di questi programmi ha dato sicuramente risultati significativi, ma essi non risultando totalmente trasferibili nella nostra organizzazione, sia per la caratteristica eterogeneità delle nostre classi (necessità di personalizzazione), sia per la difficoltà di coniugare l'approccio SEL con la didattica e gli obiettivi curricolari. Estremante interessante per quanto riguarda scuola dell'infanzia e primaria il programma PATHS, che si articola su quattro unità concettuali: i. Comprensione delle emozioni – lezioni che si occupano di diversi stati d'animo con proposte diversificate in relazione al livello di sviluppo attraverso cui i bambini vengono guidati a capire come il proprio comportamento influenzare gli altri, e viceversa come il comportamento altrui 51 possa influenzare il proprio; ii. Autocontrollo – Viene stimolato attraverso scenette rappresentati diverse emozioni (tutte accettabili) e comportamenti conseguenti (alcuni leciti, altri no); si tratta di mettere in atto strategie significative per aiutare gli allievi mantenere la calma e assumere comportamenti socialmente adeguati all'insorgere di forti emozioni; iii. Risoluzione dei problemi sociali – Attività per riflettere su cosa sta succedendo, quali emozioni si stanno provando, quali sono le soluzioni possibili e quali le possibili conseguenze, e in base a ciò quale soluzione è il caso di adottare; iv. Relazione tra coetanei e autostima – prende in considerazione tecniche dell'amicizia e delle relazioni fra coetanei, proponendo attività che mettono in primo piano situazioni e possibili soluzioni di problemi che possono sorgere tra amici. Alcune proposte più recenti dei programmi SEL risultano più flessibili e adattabili alla nostra scuola e sono molto interessanti in quanto prevedono l'insegnamento delle cinque competenze chiave dell'educazione socioemotiva in due diverse modalità: attraverso specifiche lezioni sistematiche, oppure integrando i concetti nelle diverse discipline. La progressione didattica adottata per queste proposte prevede il passaggio da un lavoro incentrato sul riconoscimento, la denominazione e la conoscenza delle emozioni, per passare poi alla gestione e regolazione delle stesse nella relazione interpersonali. Elementi da tenere sempre in considerazione sono inoltre la ricerca di un contatto con il concreto (capacità dell'insegnante di sfruttare avvenimenti quotidiani come opportunità di educazione socioemozionale) e la generalizzazione ( ampliamento delle competenze apprese in ambito didattico ad ambienti e situazioni esterne alla scuola e attivazione di processi metacognitivi). Obiettivo fondamentale dell'intervento educativo è promuovere l'autoregolazione attiva e consapevole delle emozioni, in modo tale che le stesse possano supportare il benessere relazionale e l'efficacia cognitiva del bambino. A questo proposito Fedeli individua quattro fasi di lavoro articolate secondo l'acronimo di STEP: 1. Sentire le emozioni (avvertire l'intero spettro emotivo); 2. Tollerare le emozioni (innalzare la soglia di tolleranza anche in presenza di emozioni forti); 3. Elaborare le emozioni (analisi e attribuzione di significato degli stati emotivi propri e altrui); 4. Pianificare le emozioni (rendere adeguate le proprie emozioni alla prestazione da effettuare/ usare le emozioni come strumento di controllo dei propri comportamenti). 3. ANCHE L'INSEGNANTE DEVE ESSERE EMOTIVAMENTE COMPETENTE Un insegnante di qualità possiede competenze personali in grado di fargli assumere anche il ruolo di leader emotivo, capace di regolare adeguatamente la propria emotività e accogliere tutte le emozioni degli allievi, aiutandoli a riconoscerle, nominarle e guidando nel contempo i comportamenti che queste innescano o influenzano. È quindi essenziale che l'insegnante sia sempre consapevole delle proprie emozioni e sappia adeguatamente autoregolarsi. L'educazione emozionale infatti è anche una questione di approccio dell'educatore, il quale deve essere leader e deve rappresentare un modello positivo. Questo richiede la messa in campo di specifiche competenze socioemozionali non innate, ma acquisibili e potenziabili attraverso percorsi formativi iniziali e in servizio; la competenza emotiva dell'insegnante è infatti un processo di progressiva e continua conquista. La classe infatti è un contesto potenzialmente stressante, l'insegnante deve perciò tirare fuori forti dosi di autocontrollo e di competenza emotiva per potere affrontare la situazione. Azioni dell'insegnante emotivamente competente: • Essere in grado di impiegare termini in riferimento alla sfera delle emozioni per commentare ciò che accade in classe; 52 • Dar voce alle proprie emozioni verbalizzando situazioni, ciò favorisce la comunicazione sana e crea contesti classe maggiormente favorevoli all'apprendimento; • Mostrare interesse sincero per ciascun allievo al fine di motivarli e convincerli che in classe è importante la presenza e la partecipazione di ognuno; • Rendere gli allievi consapevoli che quello che sentono va riconosciuto, accettato e gestito, sia quando le emozioni sono piacevoli, sia quando non lo sono. Nel momento in cui l'insegnante riesce a favorire quest'apertura al mondo delle emozioni, il traguardo inclusivo di costruire un ambiente che garantisce a tutti uguali opportunità per star bene è più facilmente percorribile. Cap. 13 – Tecnologie per l'inclusione È opportuno iniziare chiarendo la differenza tra alcuni termini a volte erroneamente sovrapposti: le tecnologie si riferiscono agli strumenti (setting formativo), mentre le tecniche riguardano le procedure operative, le strategie, gli stili relazionali che si attivano nella relazione educativa a supporto della metodologia adottata. Le tecnologie possono quindi supportare le tecniche didattiche, ma non si può dire il contrario. Dopo i primi tentativi per l'impiego delle tecnologie per i processi di istruzione (come quelli di Skinner (1954),Finn, Pressey e altri), gli studiosi hanno cercato e suggerito definizioni di Educational Technology, orientate di volta in volta alle diverse correnti e teorie dell'apprendimento succedutesi. Educational Technology e Instruction Technology individuano una precisa area di ricerca che studia l'efficacia di diversi modelli, sistemi e strumenti formativi: • Instruction Technology = Tecnologia didattica teoria e pratica della progettazione, → sviluppo, utilizzo, gestione e valutazione dei processi e delle risorse per l'apprendimento; • Educational Technology = Tecnologia educativa → studio e buona pratica atta a facilitare l'apprendimento e il miglioramento delle prestazioni attraverso la creazione, l'utilizzo e la gestione appropriata delle risorse e dei processi tecnologici. In Italia l'espressione “tecnologie didattiche va attribuita al CNR di Genova, uno dei centri di ricerca più attivi in questo settore che negli anni Novanta pubblica la rivista “TD” (Tecnologie Didattiche); nel primo numero compaiono per la prima volta sia il termine che la perplessità degli esperti nell'utilizzarlo. Dal dibattito risulta più indicato tradurre Educational Technology in “tecnologie dell'educazione” (TE). Le TE si sono occupate da sempre del rapporto tra tecnologie della comunicazione e il modo dell'educazione e della formazione, prendendo in esame anche le opportunità che le problematiche derivate dall'uso dei Mass Media. Non potevano pertanto mancare gli strumenti e i servizi di internet, dunque le Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione (TIC) rientrano in gioco rivoluzionando le dinamiche sociali dell'aggregarsi, del comunicare con un'apertura illimitata alle informazioni e inevitabilmente approdano nei processi didattico-formativi, dentro e fuori dalla scuola, aprendo una nuova gamma di preoccupazioni e problemi. Le TIC quindi possono essere usate per favorire processi di apprendimento, ma non posso essere scambiate come TE (o TD). Tra gli aspetti più importanti per la ricerca sull'istruzione,l'Instructional Design (ID) e l'EBE (Evidence Base Education) sono due orientamenti di matrice anglosassone affermatisi in Italia negli ultimi anni; essi si integrano tra loro per predisporre strategie più efficaci e creare le condizioni più adatte all'apprendimento nei diversi e specifici contesti (ID), avvalendosi di dati ed evidenze basate su un maggior rigore scientifico e per questo più affidabili (EBE). 55 Le strategie inoltre possono prevedere l'evidenziazione delle parole chiave,link di supporto al lessico o verso altri testi, inserimento di simboli e immagini, mascherature per focalizzare i contenuti ed eliminare eventuale carico cognitivo in eccesso. • Mediatori e anticipatori didattici – immagini, riepiloghi, schemi, sintesi, domande,... in aiuto come organizzatori cognitivi per l'attivazione delle preconoscenze utili alla comprensione dei nuovi contenuti (si rivelano molto utili app per la videoscrittura → es. LibreOffice ). • Mappe concettuali – mappe mentali, cognitive e concettuali realizzabili attraverso diversi software e servizi web gratuiti. • Sintetizzatore vocale/ audio-video lezioni – alcuni software sono forniti di sintesi vocale e di altre funzionalità particolarmente utili per studenti non vedenti o ipovedenti, mentre altri sono compatibili come strumenti di supporto (es. FacilitOffice la cui facilitazione consiste in una lista di parole scritte che possono venire automaticamente sostituite da immagini) Non è sempre possibile prevedere modalità per presentare fisicamente allo studente strumenti e oggetti relativi all'argomento trattato con approccio esplorativo e manipolativo, soprattutto per quanto riguarda discipline come la matematica, la geometria e le scienze; anche in questo caso la proposta che presuppone l'utilizzo della tecnologia si basa sull'utilizzo di “oggetti virtuali” manipolabili virtualmente come quelli fisici, così da consentire la partecipazione attiva degli studenti, aiutandoli a cogliere rapporti tra le parti e modalità di applicazione. Esempi di queste risorse sono disponibili direttamente nelle librerie dei software dedicati alle LIM. Vi sono inoltre un'ampia gamma di OER (Open Educational Resources), di proposte e di strumenti di natura digitale utilizzabili in campo didattico. MEZZI DI AZIONE/ESPRESSIONE E MODALITÀ DI ELABORAZIONE. Se abbiamo la possibilità di utilizzare la LIM in classe, possiamo attivare il software di presentazione didattica interattiva su una finestra, mostrando la flip-chart che riporta il tracciato della lezione, gli anticipatori e le varie alternative multimediali progettate, mentre su un'altra finestra si può aprire la versione digitale del libro di testo; in questo modo, oltre a fruire di un'ampia offerta nella modalità di presentazione dei contenuti, l'insegnante avrà la possibilità di selezionare in modo flessibile le risorse in risposta alle richieste della classe con un approccio inclusivo. Questo darà modo anche allo studente di familiarizzare con gli strumenti favorendo la sua autonomia anche nel lavoro a casa e permettendogli di sfruttare tutte le potenzialità di questi strumenti, adattando i contenuti alle sue necessità. Inoltre tutto il materiale prodotto a lezione sarà utile per tornare su argomenti trattati e riflettere a ritroso sulle attività svolte. Una proposta interessante è quella di far eseguire a turno in classe l'adattazione della lezione in tempo reale, facendo registrazioni audio e tutti gli adattamenti necessari a seconda delle esigenze che si manifestano a lezione, integrando le pagine con collegamenti e “aiuti” che non erano stati calcolati in fase di progettazione. Questo serve soprattutto per dare ai ragazzi maggiore responsabilità; consentire la partecipazione; conferire loro abilità specifiche e competenze spendibili anche al di fuori del contesto scolastico; ripassare i contenuti della lezione; generare momenti di silenzio rispettosi del lavoro altrui; garantire la flessibilità nei ritmi, nei tempi e nella velocità di risposta richiesti; fornire aiuti visivi; fornire sistemi di controllo della valutazione; offrire modalità alternative di interazione al compito. I dispositivi non devono fungere da catalizzatore dell'attività, ma costituire uno dei tanti strumenti utili allo svolgimento o al completamento del compito, e potranno essere adoperati da ognuno a rotazione. All'interno di singoli gruppi e in funzione di ruoli diversi, soggetti con disabilità intellettive o BES, fruendo delle tecnologie adeguate, si troveranno nelle condizioni di produrre prestazioni simili a quelle dei compagni, in un concorso di interazioni che coinvolgerà anche la sfera socioemotiva. 56 Questo lavoro inoltre consente l'esportazione e l'invio dei file attraverso una piattaforma di condivisione, ciò consente (oltre agli assenti di recuperare le attività svoltesi in classe) di poter eseguire i compiti da casa utilizzando le stesse “schede attività” presentate con la LIM. Questo è certamente un valore aggiunto sotto l'aspetto dell'offerta di mezzi di azione ed espressione, poiché lo studente può utilizzare gli stessi strumenti di interazione usati in classe, acquisirne familiarità e sviluppare abilità pratico-organizzative. AUMENTARE IL GRADO DI COINVOLGIMENTO E MOTIVAZIONE DELLA CLASSE. Compito essenziale dell'insegnante è quello di fornire agli studenti molteplici opzioni di coinvolgimento rispetto alle scelte progettuali e percorribili del loro apprendimento. È centrale nella prassi educativa procedere con modalità che favoriscano l'acquisizione di abilità autodeterminate, insieme ad un adeguato livello di indipendenza. A questo proposito le strategie attuabili sono diverse, vogliamo quindi soffermarci su quelle particolarmente avvantaggiate dalle TIC, ovvero quelle legate ad aspetti comunicativi, socializzanti e di condivisione. Le aree di intervento in questo caso sono: • attenzione informativa – strumenti atti ad evidenziare l'utilità dell'apprendimento e del metodo valutativo adottato; • libertà di partecipazione – strumento che favoriscono il contributo del singolo nelle fasi di coprogettazione in itinere e conduzione della lezione; • libertà di scelta – strumenti per la scelta delle variabili ininfluenti rispetto all'obiettivo da raggiungere; • libertà di espressione – strumenti che sollecitano l'espressione di opinioni personali d agevolare richieste di aiuto; • libertà di aggregazione – strumenti che favoriscono la cooperazione tra pari e la costituzione di comunità di studenti con interessi comuni. Nelle prime quattro aree di intervento gli strumenti privilegiati sono dispositivi di interazione, come risponditori automatici o il mobile ; sono molto numerosi inoltre gli strumenti che aiutano gli studenti a interagire e partecipare, questo attraverso moduli interattivi e sistemi che consentono loro di interfacciarsi con il docente e la classe (generalmente attraverso il proprio avatar) partecipando alle scelta di diverse componenti della lezione. La facilità d'uso e la forma civile,tenue di interazione consentita da questi dispositivi agevola e sollecita anche i più timidi a partecipare o manifestare necessità/segnali di disagio(che possono essere monitorati per l'attivazione di eventuali e adeguati interventi) ai compagni e all'insegnante. Per quanto riguarda l'“attenzione informativa”, è possibile impiegare tutte le procedure e gli strumenti (software e sistemi di messaggistica) funzionale ed adeguati alla trasmissione di informazioni utili (es.→Remind, consente la gestione di tutte le dinamiche di interazione coinvolgenti insegnante – studente – genitore, mantenendo costantemente aperta la comunicazione tra i soggetti anche durante le lezioni; →Padlet, contempla una flotta di app per pc, tablet e smartphone che aprono sul web uno spazio virtuale per l'interazione scuola-casa con possibilità di inserire e condividere post-it digitali, note, mappe, link, immagini, idee, opinioni, brainstorming,...) È importante che l'insegnante alterni l'organizzazione delle attività di apprendimento, ricorrendo di volta in volta a un intreccio di modalità esplicative (lezione frontale, tutoring, lavoro di gruppo,...). Dispositivi come i tablet spesso riescono a coinvolgere i bambini che si trovano così a lavorare insieme in una dinamica peer to peer o di tutoring. Inoltre, sempre per quanto riguarda l'ultima area, la cooperazione tra pari può essere agevolata attraverso quelle tecnologie che agevolano e aumentano le opportunità di creare delle comunità, spazi in cui gli studenti possono cooperare al di fuori delle mura scolastiche per finalità disciplinari o interessi comuni di altra natura (social network, bacheche virtuali, wikies,...). Infatti, interfacciandosi attraverso uno schermo, spesso i bambini riescono a rompere quelle 57 barriere che, per problemi di insicurezza, interessano invece la dimensione emotiva del soggetto nella dinamica face to face. Infine applicazione come LearningApps, JClic, oppure ambienti per il coding come Scratch, sono in grado di aumentare l'interazione tra alunni attraverso modalità di espressione alternative, capaci di favorire l'uso dell'immaginazione per risolvere compiti e problemi diversi, e per dar senso in modo creativo a idee più complesse. In base agli elementi evidenziati, possiamo sostenere e concludere che le tecnologie atte ad agevolare o sostenere le “buone pratiche” ai fini dell'inclusione sono destinate a risultare particolarmente significative. Strumenti sempre più efficienti per assicurare percorsi formativi sempre più efficaci, in particolare nel momento in cui si inseriscono quali fattori di reale opportunità, nelle diverse progettazioni metodologico-didattiche e nel favorire momenti di riflessione metacognitiva. IL SOFTWARE NELLA DIDATTICA SPECIALE Siamo di fronte a cambiamenti rapidi il panorama a livello di tecnologie si è arricchito ( cloud computing, web repository, software web-based, document sharing, mobile) anche dal punto di vista scolastico- educativo ( cloud teaching, multimedia interactive activities editors, coding mobile learning) È quindi anche aumentata la difficoltà nel categorizzare.. L’indicatore educativo è legato al grado di competenza e abilità diverse dell’allievo che vanno dall’autonomia mptoria fino alle reali funzioni cognitive.. Oltre all’obb dell’nclusione gli alunni con disabilità necessitano di setting specifici per il mantenimento , incremento di abilità di base che nobn sem pre si trovano nei con tenuti delle diverse discipline → questa precisazione è collegata a diverse attività che necessitano di particolari condizioni ambientali: • eliminazione di stimooli • programma di eleaborazione cpgnitiva • tempi diversi • contenuti gestiti in un rapporto speciale tra docente di classe e di sostegno. L’insegnate in questo modo agisce sui rinforzi e feedback e sulle prestazioni. Il lavoro dell’insegnante di sostegno→ si possono individiare due macroaree che riguardano tale aspetto: 1. le attività “fuori aula” → in un rapporto individuazlizzato→ l’insegnate si trova facilitata nel recuperare i materiali, i sussidi grazie alla grande disponobilità di strumenti carta-atati e d informatici 2. le attività “in aula” → con tutti i compagni → ci sono diverse pressioni da considerare, il trapporto tra le insegnnati , approccio inclusivo totale rispetto al resto della classe che parte dalla coprogettazipne della lezione, inoltre si devono adattare gli strumenti per tutte le esigenze con quindi un alto grado di versatilità.. Nel successivo paragrafo saranno analizzate alcune tecnologie per una didattica inclusiva e compensativa con le loro funzionalità tecniche tgrattate in modo da delineare dei criteri e stabilire quanto ogni caratteristica possa influenzare la scelta: • per un uso esclusivo ( sostegno, recupero potenziamento) • in modalità inclusiva per tutta la classe considerando la specificità di ogni studente. CARATTERISTICHE DEI SOFTWARE 60 software, ma anche moduli che permettono alle suites come j Clic di raccogliere tutte le attività didattiche interattive progettate assieme a pagine di copertina , istruzioni e altro corollario con le web applications come quella proposta da RAI scuola in grado di offrire un servizio di creazione e condivisione di lezioni fruibili on line. Bisogna inoltre riflettere sulla REALTA’ AUMENTATA che si sta inserendo nel mondo della scuola la quale utilizza giornalmente i dispositivi mobile ( smartphone) . Sono sistemi che aggregano il mondo che ci circonda con quello digitale in una mixed reality che include oggetti virtuali , dati di geolocalizzazione , informazioni testuali e multimediali, attraverso il flusso video di una telecamera . Le modalità di applicazione sono numerose: • creare e fruire di video esplorabili a tutto campo • arricchire la realtà osservata attraverso la webcam del cellulare • inserire diversi oggetti tridimensionali progettati come edifici mobili e altro nell’ambiente reale dove dovranno essere collocati • far comparire per magia un supporto , modelli di oggetti e animali tridimensionali da studiare. La capacità dell’insegnate di far propria tale risorsa ed implementarla con pertinenza e competenza a favore di soggetti con disabilità intellettiva costituisce un’opportunità di rilievo. • Funzione di condivisione produttiva e socializzante → Ci sono modalità per compartecipare alla vita della classe. Tramite il web oggi si può condividere tutto . esso è coinvolto anche nell’esercizio della comunicazione virtuale che impegna la responsabilità di ognuno in termini di correttezza e rispetto degli altri. Queste sono esperienze che costituiscono occasioni preziose per far vivere agli alunni pratiche scolastiche ed extrascolastiche coinvolgenti in cui possono essere protagonisti del proprio sapere e del saper fare in merito a fatti e condizioni personali , ma tutelando la propria privacy (tassello antibullismo). Esiste poi l’effetto coesione →> cioè una somma di vissuti ed esperienze che non intgeressano solo la vita di classe, ma che allargano gli orizzonti dalla classe alla famiglia e dalla famiglia al tessuto sociale. È importante però che tali esperienze prevedano il rispetto degli altri, peculiarità non sempre presente nei social che deve essere educata. Per la funzione aggregativa troviamo una tipologia di applicazione web cioè le bacheche o muri virtuali come la già citata Padlet, Lino. Sono ambienti che permettono di registrare diversi accessi, a più livelli di privacy e con il controllo di un moderatore, per finalità diverse e tutte in condivisione e compartecipazione: • brainstorming → coinvolgere intera virtual community • impegni di studio→ es. commenti sulla natura del compito della mattina • proposte→ ad es. attività facoltative • atti e cronache → es. evidenziare alcuni fatti di cronaca • programmazione di attività→ es. inviare sondaggi • attività ludiche ed espressive→ per promuovere momenti di gioco e condivisione Per la pubblicizzazione e condivisione di risorse ci sono molti sistemi per il document sharung che premettono anche la rielaborazione dei contenuti come : Google foto, Google Documenti, ma in vetta alle classifiche troviamo i wikis la cui natura rende la forma di collaborazione autoriale democratica e di tipo orizzontale.. Esistono poi molti sistemi multifunzionali di comunicazione che consentono la gestione dei rapporti tra i diversi attori del ciclo di apprendimento es. l’app Remind per il monitoraggio degli alunni da parte dei genitori oppure twiducate in grado di creare una rete sociale di microblogging per insegnanti e studenti in un ambiente sicuro per l’apprendimento anche fuori dalla classe. • Funzione SEL → Gli orientamenti dell’educazione socioemotiva riscontrano nella scuola sempre più interesse. Essi si articolano in cinque competenze chiave: 61 1. autoconsapevolezza 2. autogestione 3. consapevolezza sociale 4. capacità relazionali 5. capacità prendere decisioni responsabili Si tratta di un percorso che prende il via nelle fasi di sviluppo prescolare momenti in cui avvengono numerosi cambiamenti connessi all’ambiente e alle relative richieste genitoriali di natura comportamentale. Diverse sono le potenzialità e le tecnologie efficaci che possono essere attivate dalla scuola con funzione SEL Es. i dispositivi che amplificano la dimensione e la portata del rapporto tra pari , supportando quelle metodologie simmetricamente correlate come il cooperative learning e il tutoring. Stern→ un suo lavoro del 2015 ha consentito di descrivere un quadro delle diverse opportunità offerte dalla tecnologia per promuovere le competenze chiave SEL in tre campi d’azione: formazione, pratiche didattiche e valutazione. Riquadro 6 ( funzionalità) Ci sono diversi esempi di videogame, giochi online e mobile apps che si sono occupati di abilità relative alle emozioni e alle relazioni sociali come l’app. Being Here per il monitoraggio del proprio stato emotivo, la digital media cartoon series, The Transporter per il riconoscimento facciale delle emozioni. Particolare interesse suscita anche l’app Class Dojo cioè un sistema di monitoraggio che permette ai genitori di rilevare in tempo reale le segnalazioni positive o negative registrate dall’insegnante e a quest’ultimo di proiettare alla classe una classifica periodica assieme al quadro dei punteggi ottenuti dai singoli alunni (avatar) . Class dojo genera occasioni di riflessione condivisa sugli atteggiamenti della classe verso le singole attività presenta inoltre la possibilità di modificare e aggiungere gli indicatori osservabili, quindi di sostituire le descrizioni dei comportamenti con quelle degli stati emotivi. • Funzione accessibiltà → i responsabili del settore informatico e gli editori vedono come diretti beneficiari non solo gli utenti affetti da disabilità permanenti ma anche il mondo delle persone prive di compromissioni particolarmente specifiche come: gli stranieri o delle persone co basso livello culturale, quando sono costrette a confrontarsi con barriere linguistiche all’interno di un sistema informativo digitale.. le iniziative del governo per l’accessibilità sono iniziate con la Legge Stanca , con l’attivismo dell’Unione italiana ciechi nell’intento di rendere il mondo della cultura e dell’informazione accessibile a tutti con un focus verso i prodotti delle TIC. Ci son o inoltre le Linee guida per l’accessibilità dei contenuti web realizzate dal W3C. Tutte le tecnologie web o derivate se ben progettate sono potenzialmente pronte per supportare dispositivi come gli screen readers e opzioni per aumentarne l’accessibilità.. La situazione è diversa per i software datati o sviluppati per un uso su PC desktop in modalità indipendente dalla rete. In questi casi il grado di accessibilità dipende dalla sensibilità dei produttori ad investire in soluzioni tecniche regolamentate dai precisi standard di riferimento. Da anni i sistemi operativi includono degli accorgimenti o applicazioni dedicate all’accessibilità , come lente d’ingrandimento, assistente vocale, tastiera virtuale e altre impostazioni specifiche per i dispositivi e le periferiche . Parlare di funzione accessibilità significa stabilire il grado di sensibilità che è stato posto nella progettazione e nello sviluppo di un servizio o di una precisa applicazione, tale impegno è misurabile attraverso un’analisi che coinvolge i seguenti aspetti: • - indipendenza dal sistema operativo • compatibilità con gli screen readers e altri ausili sensoriali 62 • supporto multilingue • diverse modalità di navigazione e corretto ordine di tabulazione • supporto di sistemi alternativi per l’input e l’output • utilizzo dei metadati per la descrizione delle immagini • architettura dei contenuti testuali attraverso marcatori strutturali e semantici • flessibilità di formattazione • leggibilità dei contenuti a colori in modalità monocromatica. • Ausili informatici → l’importanza di questi sussidi e il tema dell’accessibilità richiedono un’analisi approfondita , ma in questo contesto consideriamo l’argomento “strumenti- tecnologie” a supporto delle disabilità sensoriali e motorie di un mercato altamente specializzato • Disabilità motoria → è l’effetto clinico di patologie diverse. Il danno può interessare il tono muscolare, le diverse posture, la coordinazione grosso e fine motoria nonché le prassie. La tetraplegia è la condizione più severa perché costringe l’uso costante della carrozzella e priva il soggetto di prassie finalizzate . per le lievi disprassie i software per l’accessibilità dei sistemi operativi contemplano numerosi accorgimenti che riguardano la sensibilità e la funzionalità dei tasti e dei dispositivi. Inoltre la possibilità di usare software di video-scrittura per il disegno assistito assieme a dispositivi inputa adeguatamente tarati. Nei casi di motricità fortemente compromessa sono diversi i sistemi in aiuto a seconda della gravità , dalle tastiere adatte ai sensori ai sistemi di riconoscimento vocale: • Tastiere speciali • Sistemi alternativi al mouse • Sensori come pulsanti, pedali • Sistemi di input a scansione • Sistemi di riconoscimento vocale • Disabilità visiva→ La riduzione della possibilità di produrre ed accedere ad un testo scritto da parte di alunni ciechi o ipovedenti è stata risolta grazie all’intuizione creativa di Louis Braille. Con il tempo la didattica ha sviluppato metodi più raffinati permettendo a generazioni di soggetti privi di vista di apprendere i diversi contenuti e conoscenze. Grazie alle diverse sensibilità e agli intendimenti che hanno aperto la strada all’integrazione scolastica si è schiusa la porta per l’integrazione, unitamente a tutti gli effetti e corollari positivi di opzioni formative non più escludenti della persona. I passaggi hanno riguardato diversi aspetti: • - il riversamento del sapere sui dispositivi digitali → come i cd rom, gli e-readers, testate giornalistiche sul web, introduzione di periferiche speciali per input e output in Braille • uso delle applicazioni→ a vantaggio degli ipovedenti da quelle che prevedono una diversa architettura di dispostivi e periferiche come schermi ingranditi o a braccio snodato , sistemi operativi e software specializzati . ci sono inoltre alcuni tutorial digitali come Impara Braille. Percorsi diversi ma allo stesso tgempo agevoli e rapidi nelle diverse modalità elaborative che 65 Il chaining anterogrado che prevede l'insegnamento e il concatenamento del primo comportamento con il secondo e progressivamente fino a raggiungere l'ultimo. Nel chaining retrogado invece si procede al contrario aiutando l'allievo nell'esecuzione di tutte le componenti delle abilità tranne l'ultima ; poi si richiede l'esecuzione autonoma delle ultime due per arrivare progressivamente all'effettuazione dell'intera sequenza. • tecniche di rinforzamento → L'attenzione per l'adeguata gestione delle contingenze di rinforzo rappresenta un elemento centrale nell'approccio di analisi comportamentale applicata. Esistono vari tipi di rinforzatori : - materiali --> cibi, bevande - sensoriali--> carezze... - sociali --> attenzione, approvazione, lode - simbolici--> gettoni o punti da accumulare - informazionali--> consapevolezza a livello educativo i rinforzatori possono essere gestiti con programmi differenti il più semplice quello di tipo CONTINUO lo stimolo viene dato ad ogni emissione di comportamento, quando vogliamo che l'alunno ottenga il rinforzo solo in determinate occasioni siamo di fronte ad un rinforzamento intermittente Pur producendo un apprendimento più lento , risulta molto più resistente all'estinzione. Dal punto di vista metodologico il corretto intervento deve avvenire nel rispetto di tre principi fondamentali: - rinforzare immediatamente dopo l'emissione - provvedere alla progressiva sostituzione dei rinforzatori materiali con rinforzatori maggiormente naturali - favorire il passaggio da schemi di rinforzo costante a schemi intermittenti Inizialmente l'immediatezza del rinforzo serve per manifestare il comportamento alla situazione ponendolo sotto il controllo del rinforzatore stesso. L'emissione di risposte comportamentali soddisfacenti non può essere sostenuta per molto tempo da stimoli di tipo materiale causando un effetto di saziazione. Ë necessario il passaggio graduale a rinforzi più naturali possibili. - utilizzo di schemi di rinforzo continui -poi schemi di rinforzo intermittenti --> più naturali perchè seguono paradigmi difficilmente prevedibili • il video modeling-→ si può utilizzare con bambini, adulti, persone affette da disturbi dello spettro autistico per favorire apprendimenti funzionali. Ë una procedura che consiste nella presentazione di filmati che illustrano le modalità adeguate di comportamento in certi contesto la corretta esecuzione di azioni in funzione dell'apprendimento di specifiche abilità. Una situazione tipica di video-modeling prevede la visione individuale di una dimostrazione videoregistrata seguita dall'imitazione dei comportamenti osservati nel filmato seguita dall'imitazione dei comportamenti osservati nel filmato, come modello possono essere coinvolti dei coetanei , o compagni di classe o familiari. Ë possibile che i video vengano registrati anche sui componenti dello stesso allievo--> video self modeling che permette di imitare comportamenti corretti osservando se stessi. il vedo modeling può essere utilizzato in tre aree differenti: - abilità sociali e comportamentali relative al gioco - abilità comunicative e di conversazione - abilità funzionali di vita quotidiana 66 i motivi dell'utilizzo del video-modeling sono i seguenti: - attivazione dell'attenzione--> i bambini con disabilità manifestano carenze sensibili che sembrano ridursi quando possono osservare il video che spesso per loro appare estremamente motivante - possibilità di visione reiterata del filmato--> aiuta a fissare nella memoria quindi la durata non deve essere eccessiva ( 2 3 minuti) concentrandosi solo sui comportamenti positivi ed efficaci. - processazione delle informazioni visive--> risultano più significative per gli autistici gli stimoli di tipo visivo vengono compresi meglio. Il video anche se non permane come una figura o una foto può comunque essere visto più volte e possiede una potenzialità ulteriore, presentare una situazione concreta e reale per quello che riguarda sia l'azione delle persone , che il contesto di riferimento . Si ha una maggiore ricchezza di informazioni rispetto alle immagini statiche per quanto concerne l'azione connessa alla situazione e la comprensione dell'intera sequenza "ssere annove rifiche (come 2010). Iprin- contri sonoi n Strategia del deo modeling intervento sperimentale condotto n Si iguaggo verbale imitato act ino d7anniconi prserta a poche con iagnosi divi velo difuni Asma speimentle ‘ul soggetto singolo (ci preso non uz none omai 1 import a mise ele dg Pessimi 9-E0C- A e Pergine tro aio del cc ai quando il compito descrito nell'item non veniva ato suna sa etnei FP compito er effettuato conun rompere ora pei Un aiuto fisico; ‘seguenti modalità: i iu n et ve savona RT Pe on era completamente corretta): {bambino veniva valutato con la E essere sisnzione verbale ("avi e man") oltre a un breve dimostagioe ita FT i ven fra (hec list per la valutazione del comportamento di “Lavarsi le mani” Item 1 Apre l'acqua del rubinetto in modo corretto? ii 2 Mette in modo corretto un po'di sapone nelle mani? 3 Strofina con il sapone le mani palmo a palmo? 4 Sirofna le mani palmo a palmo intrecciando le ita? 5 Sotrappone il palmo destro al dorso sinistro intrecciando le ita e viceversa? £ Sciacqua le mani sotto l'acqua? j 1 Chiude binetto dell'acqua? —— TA x & Siasciuga le mani cn idatica spl einisine scolastica lbgno mando all condizione dll fase immagini A lento, al fine di verificare il manter temuzione dellintrv IM dg sto, poi, un cont mesi dinerazioni delle stesse condizioni di qulle previste nell isa E le ca tali ell'inera tività, che sono stati abbastanza posti, pin acqui ult a rico che a nio tolte le Dopo varie lezioni sno sale 0° determinan rilemaniisulaiotentti — e fi Tg 67 70 - nominare ( tact) → indica un comportamento che mette in contatto con il contesto di riferimento , si tratta di un operante verbale in cui una risposta viene evocata da un particolare oggetto o proprietà di un oggetto o un evento. Il tact prevede un antecedente non verbale e un rinforzatore generalizzato , come l’apprezzamento positivo di una persona significativa del proprio ambiente. ( es. la risposta rosso in vista di un oggetto di quel colore e l’approvazine dell’adulto permette di acquisire il concetto generalizzato del colore rosso) . Il tact può essere promosso da strategie comportamentali da mettere in atto ( al contrario del mand) quando la motivazione per lo stimolo è bassa, cioè quando il bambino non è interessato a ricevere l’oggetto come rinforzatore., vanno quindi previsti rinforzi generalizzati di tipo sociale. - comportamento intra-verbale ( intraverbal) → è una particolare tipologia di operante verbale nel quale uno stimolo verbale seleziona l’occasione per una risposta verbale , la risposta però non ha le stesse caratteristiche dello stimolo che l ha evocata, in altre parole il bambino non ripete la stessa parola. Es. classificare verbalmente o caratterizzare oggetti nell’ambiente. Si tratta di una condizione essenziale per sviluppare abilità comunicative sofisticate come quelle connesse alle conversazioni. L’operante intra- può essere rnforzato in vari modi come quello sociale ( elogi..) verbale - comportamento verbale basato su se stessi ( autoclistic) Gli operanti verbali , che vengono solitamente considerati in relazione all'insegnamento del linguaggio a bambini con situazioni di disabilità gravi, in particolare con disturbi dello spettro autistico sono i primi quattro . 71 La comunicazione aumentativa e alternativa→ La CAA si riferisce all’utilizzo di una serie di procedure e strumenti per tentare di compensare deficit comunicativi importanti che sono in grado di determinare severe limitazioni per gli individui all’interazione e alla partecipazione sociale. Cafiero→ parla di un tipo di tecnologia assistiva costituita da qualsiasi strumento, dispositivo, immagine, parola simbolo o gesto che tenda a compensare le difficoltà di comunicazione espressiva e recettiva. Gli aggettivi aumentativa e alternativa riguardano il tentativo di accrescere la comunicazione naturale delle perone utilizzando e potenziando tutte le competenze dell’individuo ( vocalizzazioni, gesti,segni ecc) . Nell’ambito della CAA è contemplata qualsiasi forma di comunicazione che aumenti le possibilità di comunicare dell’individuo e che offra vie alternative si traduce sempre in sostegno alla relazione, alla comprensione e al pensiero. L’obb. è quello di mettere ogni persona nelle condizioni di poter fare delle scelte , esprimere un assenso o un rifiuto, influenzare il proprio ambiente con modalità comprensibili nel contesto di riferimento . Gli strumenti che vengono utilizzati sono diversi: • Alcuni non richiedono l’ausilio delle tecnologie es. le PECS → i bambini che lo utilizzano imparano prima a rivolgersi al partner comunicativo e a dargli un immagine dell’oggetto desiderato allo scopo di ottenerlo. Poi assumono sempre più iniziative nell’atto comunicativo, che viene ampliato all’interno del contesto sociale L’insegnamento del programma prevede un percorso articolato in sei fasi nelle quali si prosegue con lo scopo di portare progressivamente l’individuo allo sviluppo della comunicazione funzionale e della comunicazione come scambio sociale, attraverso il training su specifiche funzioni comunicative . ( Riquadro 4 leggere le fasi) L’aspetto fondamentale che caratterizza l’intervento CAA è rappresentato dall’attenzione al contesto e agli interlocutori del bambino. L’intervento mira alla valorizzazione e all’incremento delle risorse comunicative delle caratteristiche dell’ambiente e delle persone che vi interagiscono. La formazione di tutti gli attori ( familiari, insegnanti, compagni…) riveste un ruolo fondamentale: più che insegnare la comunicazione bisogna cercare di esercitarla, di favorire le interazioni naturali, incoraggiare e sostenere la comunicazione all’interno del proprio ambiente di vita il vero prerequisito per intraprendere un intervento CAA è la presenza di reali opportunità di comunicazione tanto che si parla di modello Natural Aided Language → approccio che prevede l’utilizzo di strumenti all’interno di una cornice di riferimento nella quale è essenziale la reciprocità degli scambi comunicativi . Essa deve essere utilizzata dall’allievo con situazione di disabilità che dai prtner comunicativi, tutte le persone che vicono la quotidianetà con l’alunno devono essere coinvolte e formate all’uso del sstema di comunicazione in modo da costruire un modello e stimolare scambi comunicativi in situazioni stimolanti.. prendendo spunto dai principi della CAA si può parlare di IN- BOOKS cioè libri illustrati con testo in simboli realizzati su misura per ogni singolo bambino a partire da opere di letteratura per l’infanzia o dai suoi vissuti . Sono costituiti da una serie di immagini grafiche , ognuna associata alla parola alfabetica s→ l’allievo che usa la CAA riconosce l’immagine mentre il partner comunicativo legge la parola, curando anche l’espressività della narrazione. La lettura di questi libri può alimentare la comprensione, suscitare emozioni, sostenere lo sviluppo cognitivo e sociale del bambino. Tali libri possono essere usati alla scuola dell’infanzia come supporti alla comprensione come mezzi per avvicinarsi alla diversità dei propri compagni. • altri prevedono supporti tecnologici di diverso livello e complessità → i sistemi VOCA ( Vocal Ouput Communication Aids)→ attraverso l’attivazione di segnali preregistrati , per rappresentare. Questi supporti per rappresentare i messaggi usano una serie di simboli visuo- grafici che vengono 72 attivati quando una persona utilizza un dito, una mano, un puntatore ottico o un altro mezzo per selezionare un simbolo dal pannello fisso del dispositivo. Ci sono poi strumenti più complessi che consentono di ampliare le possibilità comunicative attraverso schermi dinamici touch screens nei quali possono essere facilmente modificati i simboli e le relative vocalizzazioni. 75 L’index esplora i concetti di inclusione attraverso tre dimensioni chiave, ciascuna suddivisa in 2 sezioni: • Creare culture inclusive ( costruire comunità; affermare valori inclusivi) • Produrre politiche inclusive (una scuola per tutti; sostegno alla diversità) • Sviluppare pratiche inclusive ( coordinare l’apprendimento; mobilitare risorse) Per ciascuna delle 3 dimensioni declina 6 indicatori, ognuno corredato da almeno 10 domande, per un totale di circa 150 item per ogni dimensione. Tentativo iniziale: alleggerire l’Index. 1.1 L’analisi degli item Prima fase di lavoro: selezione degli item relativi a ciascuna dimensione, selezionando i più significativi per il modello scolastico italiano. Lo strumento presentava, così, 10 domande per ogni dimensione, associate a 5 livelli. La valutazione prevedeva punteggi su una scala a tre livelli (1- frequente, 2 sempre o quasi…). Gli insegnanti dovevano rispondere per alcuni item, in relazione alla scuola, per altri in relazione alla propria classe. Sommando i punteggi, ogni scuola aveva un prospetto riassuntivo sullo stato di inclusività. 1.2 Le procedure di revisione La scala è stata sottoposta a procedure di revisione e validazione quantitative e qualitative. Qualitative→ FOCUS GROUP: intervista che si svolge con un numero limitato di soggetti (da 6 a 12), con un moderatore che stimoli discussione e interazione attorno ad uno specifico focus. In questo caso si è trattato di un FG esplorativo per rilevare opinioni in merito, in breve tempo; obiettivo: analizzare la pertinenza e comprensibilità degli item che componevano la scala di valutazione. Per Trinchero, questi FG hanno permesso di: -individuare il linguaggio utilizzato dai soggetti coinvolto; .trovare nuovi indicatori; -avere suggerimenti sul campione da coinvolgere -far intervenire i soggetti coinvolti. E ancora obiettivi più specifici: -compiere un analisi di ogni singolo item; -valutare la chiarezza del linguaggio; -analizzare efficienza ed efficacia inclusione nella scuola/classe. In concreto i due FG fatti hanno portato a un affinamento e alleggerimento sia degli item sia del linguaggio. In più ha evidenziato elementi critici della scala: -difficoltà a raffigurare una demarcazione netta tra le tre dimensioni dell’inclusione proposte; -difficoltà a individuare i responsabili dei processi inclusivi -difficoltà a individuare i contesti entro i quali deve essere promossa l’inclusione. Quantitative→ VALIDAZIONE PSICOMETRICA 1.3 Le procedure di validazione psicometrica Prima fase→ calcolata l’alpha di Cronbach con punteggi maggiori di 0.9. Coefficienti di Cronbach così elevati indicano una forte omogeneità interna dello strumento ma allo stesso tempo ridondanza degli item. Seconda fase→ analisi fattoriale su 80 casi, delle componenti principali (Principal Component Analysis, PCA). 76 Partendo da queste analisi si è proceduto a una pulitura degli item secondo questi criteri: -come criterio di inclusione sono stati selezionati gli item con maggior carico sul fattore corrispondente; -come criteri di esclusione sono stati eliminati quelli valutati alti da tutti i rispondenti In conclusione è risultata la seguente struttura a due fattori: -organizzazione inclusiva -didattica inclusiva 1.4 Gli item di valutazione oggettiva All’interno dei FG è stato chiesto a 80 scuole di compilare la scala rivista e indicare indicatori rilevabili in maniera diretta e non attraverso forme di autovalutazione. Sono stati individuati altri 15 item oggettivi, come: -formazione di tutto il personale; -programmazione e pubblicizzazione delle attività educative (PTOF, PEI); -utilizzo adeguato del processo educativo e delle risorse; -organizzazione della classe e dell’attività didattica; -abbandono scolastico e ritardi nella progressione; -attenzione per tutte le differenze; -coinvolgimento famiglie e agenzie del territorio. 1.5 La Scala di valutazione dei processi inclusivi Scala nella versione definitiva: è composta da due sottoscale di autovalutazione, ognuna composta da 20 item e da una sottoscala di valutazione oggettiva con 15 indicatori. La prima dimensione (organizzazione inclusiva) viene valutata da tutto il team docenti della scuola, mentre la seconda (didattica inclusiva) dai docenti della classe presi in considerazione. Il sistema di valutazione riprende quanto previsto per il Rapporto di autovalutazione (RAV) delle scuole, che si auspica possa essere integrato dal presente strumento per l’area di inclusione. Oltre all’autovalutazione sugli indicatori relativi alle due dimensioni, a ciascuno dei quali va attribuito un punteggio da 1 a 4, prevede anche la risposta ad alcuni quesiti in riferimento ai parametri oggettivi, da fornire scegliendo tra 4 alternative 2. La scala nel contesto scolastico: i primi dati La scala si presta per un utilizzo all’interno di un team di insegnanti per evidenziare lo stato dell’arte della messa in atto di processi inclusivi e individuare linee di miglioramento. Attualmente stiamo somministrando la scala ad un ampio campione di scuole di ogni ordine e grado su tutto il territorio nazionale. I primi riscontri evidenziano un quadro meno favorevole di quello che ci si aspettava. Nello specifico: -per quanto riguarda l’organizzazione inclusiva della scuola→situazione preoccupante. Carenze soprattutto nelle modalità di presentazione delle info inerenti alla scuola, non accessibili a tutti; poco coinvolgimento famiglie e territorio con la scuola; pochi percorsi formativi; programmazione non sempre condivisa con gli insegnanti di sostegno. -per le procedure didattiche→ gli insegnanti hanno evidenziato soprattutto aspetti positivi: coinvolgimento e responsabilizzazione degli alunni; guida e supporto da parte dei docenti; modalità differenti di insegnamento. Le criticità riguardano: stimolazione di forme di supporto fra gli allievi; possibilità di scelta delle attività proposte; gestione poco condivisa della situazione degli allievi con disabilità. 77 Per l’analisi degli indicatori oggettivi→ elementi positivi: partecipazione allievi con disabilità alle attività extrascolastiche e attenzione vero BES. Carenze: accessibilità informazioni sulla scuola, e sensibilizzazione altre agenzie. L’auspicio non è solo quello di fotografare lo stato attuale, ma anche indicare piste di lavoro percorribili per migliorare nella prospettiva dell’inclusione. 16 L’INCLUSIONE FUNZIONA? In questo capitolo verranno prese in esame le principali RICERCHE sul tema dell’educazione inclusiva. Negli Stati Uniti, molti sostenitori della full inclusion, hanno identificato l’Italia come ottimo esempio di realizzazione di tale politica; al contempo ne evidenziano la scarsa ricerca a riguardo. Di seguito, i principali studi condotti sul modello italiano e i riscontri della ricerca internazionale circa l’efficacia delle strategie descritte nel libro. Infine verrà presentato uno studio attualmente in corso per rispondere alla seguente domanda: “ Nelle scuole e nelle classi più inclusive si apprende meglio?” 16.1 La ricerca italiana sull’integrazione e l’inclusione scolastica Nel nostro paese le ricerche hanno sempre avuto un solo obiettivo: verificare lo stato dell’arte dei processi integrativi. Studi condotti attraverso interviste, questionari a insegnanti, dirigenti e famiglie. Di seguito, i lavori più recenti e significativi: • Ricerca sulla sindrome di Down (Gherardini, Nocera, Associaz. Italiana persone Down AIPD – 2000): su campione di 385 allievi residenti in tutto il territorio nazionale, di scuola primaria e secondaria di 1/2 grado. Strumento: questionario con indicatori raggruppati in 3 categorie→ “di struttura”, “di processo”, “di risultato”. Risultati: sembra superata l’idea di ins. di sostegno come strumento di emarginazione, ma dalle risposte degli ins. di sostegno è emerso come questi siano ancora trattati come insegnanti di serie B. Circa le abilità basilari che gli allievi avrebbero dovuto acquisire, invece, i risultati sono confortanti. • Analisi degli atteggiamenti dei genitori nei confronti dell’integrazione scolastica di allievi con sindrome di Down (Vianello, 2006). Risultati: i genitori di b. con sindrome di D. hanno un atteggiamento più positivo verso l’integrazione scolastica; i gen. di bambini “normali” che hanno in classe un D. sono più favorevoli all’integrazione rispetto ai gen. di b. che non ne hanno in classe. Metodologia: questionario a 120 genitori di primaria e 120 genitori di secondaria di 1 grado, che rispondessero a 3 criteri: “gen. con b. con sindrome di D.”; “ gen. di b. “normali” con in classe un D.”; “gen . di b. “normali” senza un D. in classe”. → L’esperienza diretta favorisce una migliore predisposizione all’inclusività. • Fotografare lo stato dell’integrazione in Italia nei primi 30 anni di applicazione ( Canevaro, D’Alonzo, Ianes – 2007-08). Risultati: la frequenza dei vari ordini di scuola è aumentato nel tempo e con essa, il livello di soddisfazione dei genitori. Progressiva diminuzione negli anni della percentuale di percorsi di inclusione totale, a vantaggio si situazioni miste (in parte in classe, in parte in ambienti separati). Purtroppo, dopo la scuola, ancora il 42% viene inserito in strutture protette, il 23%resta a casa e solo il 9% in azienda. • Integrazione scolastica attraverso le opinioni degli insegnanti ( Canevaro, D’Alonzo, Ianes + Roberta Caldin – 2011). Metodologia: 3200 professionisti della scuola, tramite questionario online. Risultati:

Quali sono i quattro piani dell inclusione Secondo Cottini?

Su questi elementi operativi mi sono soffermato ampiamente in un lavoro recente (Cottini, 2017a), nel quale ho articolato e sviluppato il concetto di inclusione su quattro piani: (1) il piano dei principi; (2) il piano orga- nizzativo; (3) il piano metodologico-didattico; (4) il piano dell'evidenza empirica.

Che cosa intendi per didattica speciale?

La didattica speciale ha come compito principale quello di definire le strategie insegnative e apprenditive specifiche per soggetti in situazione di handicap, in situazione di svantaggio socioculturale, affinché questi diventino autonomi nel pensiero e nell'azione.

Come nasce la didattica speciale?

La didattica speciale affonda le sue radici nella pedagogia speciale, una scienza autonoma che ha come oggetto di indagine l'educabilità di soggetti portatori di handicap o con deficit e disturbi che ne compromettono in parte le abilità.

Che cosa si intende per didattica inclusiva?

Una didattica inclusiva fa capo a tutti i docenti ed è rivolta a tutti gli alunni, non soltanto agli allievi con Bisogni Educativi Speciali. La didattica inclusiva è la didattica di tutti, che si basa sulla personalizzazione e sulla individualizzazione tramite metodologie attive, partecipative, costruttive e affettive.